E’ iniziato tutto leggendo un articolo sui falsi miti del cioccolato artigianale.
Ora, chi segue con attenzione Dissapore sa che la nostra ossessione per i diversi modi di realizzare il cioccolato, specie partendo dalle fave di cacao e senza uso di semilavorati, ha raggiunto da tempo livelli di guardia.
Voi non immaginate, è una sofferenza. Attenzione spasmodica per le fave (le fave voglio dire): come vengono raccolte quelle usate dagli artigiani italiani (a mano si o no?), se le fanno asciugare al sole, il trattamento in laboratorio. E dover ascoltare ogni respiro in arrivo da Brooklyn, ora come ora capitale del cioccolato artigianale dove tutto è casette basse e mattoni rossi, e le sole definizioni accostabili al cioccolato sono bio, crudo e vegan.
Il cioccolato artigianale is the new black, insomma, la tendenza del momento per i duri e puri del piccolo è bello. Ma siamo sicuri di sapere tutto, senza basarci su luoghi comuni, negligenza e falsi miti?
Scopriamolo insieme.
#1 “Più elevata è la percentuale di cacao, migliore è il cioccolato”
L’Unione Europea non va per il sottile nella definizione: si parla di cioccolato in presenza di un residuo totale (il peso) di cacao pari al 35% lordo. Ne esistono per ogni palato: dal cioccolato con basso residua di cacao fino a quello con percentuali che coprono la quasi totalità del prodotto (70%, 80%, 90%).
Ma sono le elevate percentuali di cacao a rendere migliore una tavoletta di cioccolato?
Non per forza. Tutto dipende dall’equilibrio raggiunto tra cacao, zucchero e burro di cacao. Di per sé questo non conferisce elementi aromatici ma una certa pastosità al cioccolato, mentre è il residuo di cacao a connotare maggiormente il sapore.
Facciamo un esempio: quando troviamo scritto che una tavoletta di cioccolato contiene l’80% di cacao, la percentuale comprende zucchero, di norma il 20%, burro di cacao e cacao (secco sgrassato).
Ma se la percentuale di cacao è formata per il 40% da cacao e per l’altro 40% di burro di cacao è una cosa. Il risultato è molto diverso se l’80% è composto solo di cacao. Il risultato sarà più amaro, ma con un bouquet di aromi stellare.
#2 “Cioccolato sì, ma senza lecitina di soia”
Ricavata dalla lavorazione dei fagioli di soia, la lecitina è un emulsionante spesso impiegato in modiche quantità nelle preparazioni dolciarie per le sue proprietà leganti: permette di amalgamare elementi grassi e non grassi come il burro di cacao e l’acqua.
Inoltre, quando il cioccolato liquido viene colato negli stampi dove, raffreddandosi, diventa solido, può contenere piccole bolle d’aria, identificabili per esempio nelle tavolette come piccoli e poco estetici buchi. La lecitina favorisce l’uscita delle bolle dal cioccolato liquido.
Ciò nonostante una piccola parte di produttori, tipicamente chi punta alla qualità più che al risparmio, sceglie di non usare lecitina di soia.
Unire parte grassa e secca è comunque possibile, bisogna mescolare gli ingredienti più a lungo a temperature maggiori, spesso si deve unire altro burro di cacao. Tutte soluzioni che allungano la lavorazione e aumentano i costi, eppure qualcuno sceglie di rinunciare all’emulsionante.
Ma la lecitina di soia è insapore, non ha dunque controindicazioni dal punto di vista aromatico; inoltre s’impiega nell’ordine dello 0,3-0,5% di una tavoletta.
Usarla o non usarla sta ai produttori in base soprattutto ai costi di produzione, ma l’alone negativo che circonda la lecitina di soia è ingiustificato.
#3 “Il cioccolato bianco è cioccolato”
Tecnicamente parlando, il cioccolato bianco è un prodotto derivato dalla lavorazione del cioccolato. Si ricava dalla materia grassa del cacao –il burro di cacao– in origine pressoché insapore. Unito allo zucchero e ai derivati del latte riesce a mantenere lo stato solido; scioglievolezza immediata in bocca, dolcezza estrema.
Ha una storia relativamente recente: è nato dopo la prima guerra mondiale, in Svizzera: negli anni Trenta Nestlé ha iniziato a produrre le prime barrette bianche, il celebre Galak.
Il cioccolato bianco non è cioccolato perché non contiene cacao ma burro di cacao, latte, zuccheri e aromi – di solito vaniglia. Però si lavora con facilità grazie alla presenza della materia grassa del cacao e figura in molti dolci, sia di pasticceria che confezionati.
Perché rinunciarvi?
#4 “Il cioccolato al latte è la serie B del cioccolato”
Nato nel 1867 dagli esperimenti di Daniel Peter, fabbricante svizzero di candele, e perfezionato con l’aiuto del signor Henri Nestlè (quel signor Nestlè), è il cioccolato più diffuso nel mondo.
Bistrattato a lungo, sta vivendo negli ultimi anni una specie rinascita grazie agli artigiani che realizzano cioccolato di qualità, includendo il latte tra gli ingredienti. Basti pensare all’interessante esperimento italiano di Domori, un cioccolato con quattro tipi diversi di latte: pecora, capra, cammella e asina. Tavolette da 25 grammi di insolito piacere.
Il latte conferisce cremosità e, come nel caso di Domori, sfumature interessanti. Insomma, se cioccolato e latte si sposano bene perché fare i puristi per forza?
#5 “Solo Bean to bar significa qualità”
Bean to bar, dalla fava alla tavoletta. E’ il nuovo mantra del cioccolato artigianale. C’è da dire che con questa formula i fratelli Mast, barbe fulve e cappello a falda, ci hanno messi nel sacco. Per un periodo i fratelloni modaioli di Long Island, New York, compravano e fondevano cioccolato altrui che poi usavano nelle loro produzioni.
Poi siamo passati all’ultimo grido, il cioccolato vergine, proveniente cioè da fave di cacao crudo. Qui il nome di riferimento è Raaka, ancora una volta a Long Island.
Ma cosa intendiamo, precisamente, per metodo “bean to bar”?
Il controllo da parte degli artigiani di tutta la filiera del proprio cioccolato partendo dalle fave di cioccolato, cioè dalla materia prima (tre i tipi di cacao più utilizzati: criollo, forastero, e trinitario, una miscela degli altri due), per arrivare al prodotto finito, la tavoletta, appunto.
Un metodo reso possibile da macchine progettate appositamente: attrezzi piccoli dal costo non proibitivo che consentono di realizzare il proprio cioccolato, unico e diverso da tutti nel gusto e nel prezzo.
Ma è un metodo che fa davvero tutta la differenza?
Apporre la dicitura bean to bar sulla confezione fa molto, ma non tutto. Bisogna prestare attenzione alle indicazioni di agricoltura biologica e sostenibile, a come viene trattata la mano d’opera nei Paesi di produzione del cacao, al commercio equo e solidale.
D’altro canto, è sbagliato dissacrare per forza il cioccolato industriale: esistono comunque buoni prodotti rintracciabili anche su larga scala.
#6 “Sciogliere il cioccolato altrui è una truffa”
Ritorniamo ai Mast Brothers, non perché ci siano particolarmente simpatici, ma a irradiare per primi l’aura hipster che avvolge oggi il cioccolato artigianale sono stati loro, truffe o non truffe.
Di quale truffa parliamo? Quella che ha incrinato per qualche momento il mito del cioccolato bean to bar.
Come pivelli, rispondendo a un’e-mail che chiedeva chiarimenti sui loro prodotti, hanno ammesso di acquistare grosse quantità di cioccolato Valrhona (multinazionale franco-belga), poi sciolto e riutilizzarlo in alcune preparazioni. Bye bye bean to bar, qui si parla di prodotti industriali.
Gli appassionati del cioccolato artigianale si sono rivoltati, anche se, alla fine, i fatturati tanto cari ai Mast Brothers non ne hanno risentito.
Sciogliere il cioccolato altrui per lavorarlo di nuovo non è necessariamente una pratica demoniaca: può regalare sfumature inedite a un buon prodotto di base. Certo, però, bisogna dichiararlo.
#7 “Il cacao un supercibo che ci farà vivere per sempre”
E’ bello, buono e fa bene. Il cioccolato scuro e fondente (meno grasso e zuccherato di quello al latte) come cibo delle meraviglie che svolge un’azione benefica per il cuore e il sistema cardiovascolare, mentre quello al latte o bianco fa bene al cervello.
Intendiamoci: è’ un ottimo antiossidante, combatte le malattie degenerative e i radicali liberi, apporta ferro, magnesio e calcio in quantità. Tutte doti amplificate se le fave non vengono tostate per formare il cacao, di seguito mescolato con lo zucchero e i grassi.
Infatti, l’esposizione a temperature elevate durante il processo di tostatura riduce i livelli di antiossidanti nel cacao, di conseguenza i benefici apportati dal cacao crudo.
Poco si dice però dei possibili rischi per la salute legati al consumo di cioccolato proveniente da fave non tostate, a meno che non si svolgano controlli rigorosi sulla presenza di batteri come E.Coli o salmonella, e sulla formazione di aflatossine, microtossine tossiche e cancerogene.
L’uso di disinfettanti a base di acido ascorbico mette al riparo da questi rischi.
[Crediti | Link: First we Feast, Dissapore]