Le madri italiane si sentono “inadeguate” se non cucinano almeno 3-4 pasti freschi al dì per i loro bambini, forse perché il cibo per bambini, in Italia (omogeneizzati in primis) non è all’altezza di quello di altri Paesi, tipo la Francia.
Ho una bimba di 7 mesi e per l’inizio del nuovo anno abbiamo organizzato un viaggio in Francia, prima a Parigi e poi a Nantes a trovare qualche amico che vive lì. Viaggiare con un bebé vuol dire acquistare i voli nelle fasce orarie più care per farlo star comodo, dunque niente budget per le valige da stiva e niente omogeneizzati da casa.
Appena atterrata, con l’ansia tipica della mamma italiana all’estero, mi precipito al supermercato timorosa che la mia piccolina possa soffrire la fame. È lì che mi si apre il paese di Bengodi, il reparto omogeneizzati ha tutto un altro aspetto rispetto a quello italiano: “carciofi, pastinaca, pastina e parmigliano”, recitava il primo omogeneizzato che mi è apparso, “zucca delica, zucca butternut e sauté d’agnello” il secondo, “fettuccine, merluzzo e verdure” quello che ho comprato io, sopraffatta da una timida quanto incredula sobrietà.
Ho aggiunto al carrello una paio di monoporzioni per la merenda: “latte fermentato, riso, pera e vaniglia” e “mela e castagna” e un paio di vasetti di carote di Bretagna.
[DISCLAIMER] Per chi non frequenta l’ambiente, urge un rapido riassunto della situazione italiana: quei (pochi) omogeneizzati che ho comprato li ho acquistati nel greatest hits del gastrofighettismo GDO ovvero Coop, Eataly è NaturaSì, dunque dovrei aver intercettato il meglio che offre il mercato, ma funzionano tutti allo stesso modo: il vasetto con le verdure, quello con la carne (tre tipi al massimo), quello con la frutta (mela, pera, prugna) … sta a te creare il mélange meno disgustoso e più vario possibile.
Omogeneizzati: Francia vs Italia 10-0
Mi sono quindi domandata il perché di una così grande differenza tra noi e i cugini e credo risieda nel fatto che la mamma italiana che scalda due o tre barattolini e li combina mantenga l’illusione di cucinare per il suo bambino. In Francia devi avere le palle di ammettere: sto aprendo del cibo in scatola che metterò nel microonde per mio figlio.
La qualità di un’alimentazione in barattolo è evidente a chiunque, ma c’è quel dettaglio della libertà di pensiero e di azione che dovrebbe garantirci un margine di manovra in quello che vogliamo acquistare, anche qualora sia destinato alle giovani leve del mondo che verrà.
Il metodo nostrano non è privo di incongruenze: sul barattolino italiano di “verdure miste” trovi la dicitura “ortaggi in proporzione variabile: carota, patata, piselli, cavolfiore”. I più pignoli avranno già notato che la patata e i piselli non sono verdure, ma soprassediamo. Ovviamente le verdure sono certificate bio, il che probabilmente ci fa star impassibili di fronte all’etichetta che non ha una parola che sia una sulla provenienza.
Oltralpe le carote sono di Bretagna, le albicocche di Provenza e per le mele e le pere, oltre alla provenienza, viene specificata anche la specie così un giorno puoi dare la purea di mele Golden, il giorno dopo di Stark.
Ovviamente si tratta anche di marketing, ma io ci vedo della saggezza e sicuramente del rispetto per il consumatore.
Lo svezzamento e l’educazione al gusto
Ma c’è anche un’altra differenza, che, se guardata con la giusta lungimiranza, può essere ancora peggiore. In Italia, schiavi di un maternage compulsivo, il fine di un buono svezzamento è quello di evitare uno shock anafilattico al bambino. In Francia invece, il fine di un buono svezzamento è l’educazione al gusto.
Per capirlo basta darsi alla lettura dei numerosi manuali nostrani sulla questione che consigliano di cominciare con un brodo di verdure da cui devono essere tolte le verdure (sic!) motivo per cui è necessario aggiungere delle farine liofilizzate senza glutine o, nel migliore dei casi, una crema di cereali, sempre senza glutine, fatta in casa. A questo si aggiunge una proteina, che nelle prime settimane può essere esclusivamente ricotta o Parmigiano e poi, solo dopo un mese, carne o pesce. Niente crostacei, aborriti i semi e la frutta secca se non con piccolissimi assaggi a tuo rischio e pericolo. Ricordo che la prima volta che ho dato a mia figlia un cucchiaio di crema di mandorle avevo il telefono pronto a chiamare il 118 in caso di shock (mio o suo poco importava).
Tuttavia la secchiona e la pancina che sono in me hanno fatto sì che leggessi anche Ducasse bebè, il ricettario per lo svezzamento del guru Michelin, tradotto in italiano da L’ippocampo. Lì le verdure si potevano dare da subito in composte interessanti: zucca e arancia, zucca e castagna o zucca e roquefort recitavano le prime pagine. E i consigli erano del tipo: “Fate assaggiare un pezzetto di oliva a vostro figlio prima di mettergliela nella pappa, imparerà a distinguere il cibo secondo il colore e il gusto”.
Il che significa che in Francia puoi essere una premurosissima pancina e sbatterti quattro volte al dì a preparare i pasti alla tua creatura, oppure puoi essere un genitore che non vuole o non può cucinare e avrai comunque a disposizione dei pasti interessanti per tuo figlio.
Svezzamento: qualcosa si muove
Eppur qualcosa si muove, anche qui da noi sta cominciando a diffondersi una letteratura diversa. Celeberrimo “Io mi svezzo da solo!” di Luigi Piermarini (ed. Bonomi) che però ha ancora una circuitazione carbonara, almeno nel gruppo di genitori che ho conosciuto io. E comunque il metodo che Piermarni propone è pensato più per il suo aspetto pratico e libertario che per quello di educazione al gusto, il che è comunque un’ottima cosa. Prevede infatti che al bimbo sia dato quello che già si cucina per tutta la famiglia, destabilizzando considerevolmente l’industria del baby food ma soprattutto togliendo il senso di colpa a chi non vuol cucinare il doppio di prima con in più un bebè da accudire.
Se poi uno vuol fare il genitore alternativo c’è addirittura qualche libro sullo svezzamento vegano, che è bene nascondere dalla vista degli ospiti quando passano a trovarti, pena la perdita della patria potestà: lì si sdoganano i frutti rossi, i semi oleosi, gli olii eccentrici permettendo ai giovani virgulti una gamma di sapori pirata.
L’impressione è che siamo nella condizione dell’asino di Buridano, e tra la buona vecchia paura di essere un cattivo genitore e la possibilità di essere molte altre cose ancora non sappiamo decidere. Moriremo di fame?