Aveva trentun anni, Satnam Singh. Trentuno, e se ne dimostrava di più (tutto quello che abbiamo di lui è una fototessera) era colpa di una vita non facile. Se è morto, abbandonato dal suo datore di lavoro (aguzzino, sarebbe un termine più corretto) sul ciglio di una strada con un braccio mozzato da un macchinario agricolo, è invece “colpa di un criminale”, dice il ministro dell’Agricoltura Francesco Lollobrigida. Lo spiega durante una conferenza stampa organizzata congiuntamente con il ministro del lavoro Marina Calderone, proprio per commentare il caso.
Le sue parole arrivano (ancora una volta tardi, ancora una volta fuori focus) proprio a poche ore di distanza dal post in cui la responsabilità sembrava essere – diceva Lollobrigida – del sistema dell’immigrazione irregolare, più che dell’italianissimo imprenditore agricolo che ha mollato lì agonizzante Satnam Singh, senza avvisare i soccorsi che lo avrebbero salvato, e soltanto dopo aver requisito a lui e alla moglie i cellulari con cui avrebbero potuto chiamare aiuto loro – stando a quello che racconta la moglie del bracciante indiano, Sony, che riceverà un permesso di soggiorno per motivi di protezione speciale, minima compensazione che uno Stato degno di questo nome può darle dopo la tragedia subita. Perché lo Stato italiano la responsabilità di questa tragedia se la deve prendere in carico.
Cosa hanno detto i ministri in conferenza stampa sul caso di Satnam Singh
Con la conferenza stampa dei ministri Francesco Lollobrigida e Marina Calderone, il Governo Meloni ha voluto sottolineare “gli interventi fatti e da fare, e ribadire in modo chiaro che il nostro scopo è dichiarare guerra al caporalato e intensificare le azioni contro un sistema che mortifica il lavoro, mette a repentaglio vite umane e non fa crescere la qualità del lavoro in un comparto strategico. Questa è una sensibilità comune al governo tutto“, ha detto Calderone.
Lollobrigida poi ha voluto precisare che la tragedia di Latina “è colpa di un criminale”, e che questa vicenda non deve essere utilizzata in modo strumentale per “criminalizzare uno degli anelli della filiera agricola”. Insomma, gli agricoltori non sono tutti caporali, e non tutti i lavoratori dell’agricoltura sono sottopagati, in nero, e messi a rischio dai loro stessi datori di lavoro (aguzzini, avevamo detto), ribadisce Lollobrigida, impegnato a difendere il buon nome dell’agricoltura quando invece, in questo momento, l’unico buon nome da difendere dovrebbe probabilmente essere quello di un ragazzo di trentun anni trattato peggio di una bestia.
Sul caporalato ribadisce il concetto anche la ministra Calderone, che dice che “lo scopo di tutti è dichiarare guerra al caporalato”, “intensificando tutte quelle che sono le azioni a contrasto di un sistema che mortifica il lavoro, mette a repentaglio le vite umane e non fa crescere la qualità del lavoro in un comparto importantissimo come quello dell’agricoltura”.
Cosa non va nelle parole di Lollobrigida
Insomma, il titolare dell’azienda agricola che, ricordiamo, ha addirittura provato a ribaltare la responsabilità sul povero Satnam Singh, parlando di “una sua leggerezza, costata cara a tutti” (a lui di sicuro), è – ribadisce Lollobrigida in quella che sembra essere una delle sue preoccupazioni primarie, una pecora nera, non rappresentativa di un settore che invece più di una volta il ministro ha ribadito essere virtuoso, un’eccellenza italiana da tutelare, da difendere, da elogiare.
Una filastrocca che per la verità avevamo già sentito, quando dopo la messa in onda su Rai 3 del documentario di Giulia Innocenzi Food for Profit il ministro Lollobrigida si era affrettato a dichiarare che quella era una “criminalizzazione generalizzata dei nostri allevatori”. Anche lì, si metteva in luce un caso su tanti, diceva Lollobrigida, screditando un intero settore virtuoso. Ah, e la stessa identica cosa Lollobrigida aveva sostenuto dopo la discussa (anche da noi, in effetti) messa in onda del servizio sul vino di Report, sostenendo che si sarebbe dovuto specificare che quello raccontato era che “un caso su 10mila che si comporta in maniera irregolare”.
Insomma, verrebbe da dire, ogni volta che c’è una magagna il problema di Lollobrigida è che nel raccontarla non si screditi il buon nome dell’agricoltura, dell’allevamento, della produzione italiana. L’alternativa vai a sapere qual è, bisognerebbe forse chiedere al ministro: tacere? Soprassedere?
Perché anche in quest’ultimo, tragico caso, quello che dice il ministro Lollobrigida non è corretto. Ahinoi, il problema del caporalato esiste, ed è diffuso, altro che pecore nere in un sistema virtuoso. A fronte di tanti agricoltori corretti, giusti, capaci, onesti che certamente sono la salvezza di un settore, basterebbe ricordare che sono centinaia di migliaia i lavoratori in nero dell’agricoltura. Quelli che nell’immaginario comune raccolgono i nostri pomodori, e non solo.
Secondo il “VI Rapporto agromafie e caporalato” dell’Osservatorio Placido Rizzotto, nel 2021 erano circa 230 mila i lavoratori impiegati irregolarmente nel settore. Non pochissimi, in effetti: circa un quarto del totale dei lavoratori occupati totali. Altro che pecore nere in un gregge di pecore bianche.
Intanto, l’ispettorato del lavoro – colui che dovrebbe vigilare su questa e altre questioni, anche impedendo tragedie come questa – è anno dopo anno sempre più sotto organico (ci lavorano 5068 persone contro le 7687 che sarebbero necessarie) e di conseguenza effettua sempre meno controlli (111mila nel 2023, contro i 166mila del 2018, dice l’Inail). Il problema è del ministero del lavoro, si dirà. Insomma, se il settore più problematico continua a essere quello dell’agricoltura, e se il ministro lo difende sostenendo che si tratta di casi isolati.