Scriveva a inizio anno il New York Times che ormai mangiare senza glutine è una tendenza per i ricchi, bianchi, specie di sinistra.
Stendiamo un velo glutinoso su tutto ciò, ma la moda ormai ha preso piede: là fuori pullula di persone che pensano di dover mangiare senza glutine pur non essendo celiaci.
Se un celiaco mangia alimenti che contengono glutine, la proteina lentamente demolisce il suo intestino. Deve quindi seguire una dieta a base di prodotti senza glutine, ancora parecchio costosa.
Per esempio, i prodotti da forno costano in media dai 40 ai 60 euro, e soltanto negli ultimi anni si sono viste le prime linee dedicate anche fuori dalle farmacie. Il contributo che fornisce Stato è di circa 100 euro mensili.
Ne sanno qualcosa i genitori di due bimbi celiaci di 6 e 8 anni, che hanno visto la retta della mensa scolastica schizzare da 1.110 euro annuali a 3.100 euro, a causa del menu senza glutine dedicato.
Tutto inizia nel dicembre 2014: i genitori di un bimbo celiaco chiedono alla dirigenza del Convitto Cirillo di Bari di somministrare, come impone la legge 123 del 2005, un menu senza glutine.
Non avendo cucine attrezzate la scuola si rivolge a un’azienda specializzata, Ladisa, che fornisce (gratuitamente) i pasti del bambino. Il problema sembra risolto ma l’anno successivo s’iscrive allo stesso istituto un’altra bambina con la stessa malattia.
Ladisa non è più disponibile a fornire i pasti, così il Convitto Cirillo è costretto a rivolgersi a un laboratorio specializzato che per preparare i pasti dei due bambini chiede la modica cifra di 15 euro ognuno, totale 3.100 euro l’anno.
La scuola non percepisce ulteriori fondi, quindi la somma è totalmente a carico dei genitori.
Le famiglie non sono d’accordo, e in virtù della legge 123 chiedono che a pagare sia la scuola. Che peròa risponde picche perché sarebbe costretta a usare i soldi di altre famiglie.
Incalzata da un indignato Michele Calabrese, presidente regionale dell’Aic (Associazione Italiana Celiaci), la direttrice scolastica Anna Cammalleri si difende come può, cioè male:
“Se mi arriva un vegano, allora, che faccio? Poi vengono tutti al Cirillo. Non intendo essere denunciata per distrazione di fondi. La nostra è una mensa collettiva, la possono usare tutti, ma se ci sono costi aggiuntivi li devono pagare loro.
Vaglielo a spiegare che essere celiaco non è una scelta.
[Crediti | Link: La Repubblica, Dissapore]