C’è un ripasso che è necessario fare di tanto in tanto: quello sull’anisakis, odioso parassita che può infestare alcune specie ittiche e, malauguratamente, l’apparato digerente di chi – umano – lo ingerisse.
Quindi, sono qui per farti un dettagliato resumé. E non da sola, ma con la preziosa collaborazione di una che ne sa: Valentina Tepedino, medico veterinario specializzata in prodotti ittici, referente nazionale della Società italiana di medicina veterinaria preventiva per il settore ittico e direttore di Eurofishmarket, società che si occupa di consulenza, formazione e informazione.
Cos’è l’anisakis?
«È un nematode (un “vermetto”) che in un suo stadio larvale può provocare malattia nell’uomo (anisakiosi) che consuma pesci e cefalopodi marini infestati, crudi o poco cotti», sintetizza Tepedino. Che tiene a precisare che non è un “bigattino”, come sono comunemente chiamate le larve delle mosche che proliferano sulle carni in putrefazione.
Questo per dire che no, l’anisakis non si trova nel pesce non più fresco. Al contrario, le larve del nostro vermetto sono vive e vitali negli esemplari vivi e vitali che costituiscono il loro habitat: appunto, pesci di mare e molluschi cefalopodi. Non si trovano, invece, in crostacei e molluschi bivalvi.
L’anisakis vive in acque pulite
Paradossalmente, la sua presenza testimonia un buono stato di salute dei mari: «L’anisakis spesso è più presente in aree marine incontaminate e protette dove sono più numerosi gli attori utili al suo ciclo biologico: invertebrati e pesci come ospiti intermedi o paratenici (in cui passa senza svilupparsi, ndr), mammiferi marini, uccelli ittiofagi, rettili o pesci come ospiti definitivi».
Quindi, prima bufala da sfatare, quella che il nematode sia sinonimo di prodotto di scarsa qualità, poco fresco, pescato in acque poco pulite.
Mal fatto potrebbe invece essere il trattamento cui gli operatori sottopongono pesci e cefalopodi. Infatti, le larve si trovano nelle viscere che, se non vengono immediatamente e correttamente eliminate, se le lasciano “sfuggire”. È così che l’anisakis può migrare nelle carni e arrivare fino a noi, consumatori di quel pesce.
Anisakis: come ucciderlo
Ora, è noto a tutti che l’unico sistema per devitalizzare le larve è agire sulle temperature: quelle alte di cottura (oltre i 60°) o quelle basse del congelamento. Che sia un abbattimento industriale o un passaggio nel freezer di casa a 3 stelle. Nel primo caso, sono sufficienti 24 ore a temperature uguali o inferiori a -20°, nel secondo caso di ore ne occorrono 96 (sì, sono 4 giorni) a -18°, i gradi raggiunti dai congelatori domestici.
Il sale, l’aceto, il succo di limone NON, ripeto, NON uccidono le larve che, anzi, sotto sale possono vivere felici anche per mesi. Questo sconsiglia la produzione casalinga di conserve a base di pesce crudo se prima non lo abbiamo congelato. Riservando tali produzioni esclusivamente all’industria.
Cos’è l’anisakiosi? Sintomi e conseguenze possibili
Se ingeriamo le larve, possiamo avere diversi esiti. Il primo, e più fortunato: i vermetti transitano e se ne vanno. Ma può anche succedere che la loro presenza provochi sintomi gastrointestinali più o meno gravi. Fino alla perforazione delle pareti di stomaco o intestino.
Questo può avvenire perché le larve (che, per inciso, non sono affatto a loro agio al nostro interno, trovandoci per nulla ospitali) hanno l’antipatica abitudine di attaccarsi alle mucose tramite una sorta di uncino: più questo entra in profondità, più può provocare danni e richiedere addirittura un’asportazione chirurgica.
C’è poi l’eventualità che il soggetto che ingerisce l’anisakis sia allergico, con tutti i risvolti – seri – del caso fino allo shock anafilattico.
Insomma, c’è poco da scherzare.
Unica buona notizia: nel nostro organismo che, come detto, non corrisponde al loro habitat, le larve non si sviluppano né prolificano. Almeno.
Un nemico visibile
Detto per l’ennesima volta che, prima di mangiare pesce e molluschi crudi, occorre SEMPRE congelarli (o abbatterli, che è la stessa cosa), c’è da dire che le larve si vedono chiaramente a occhio nudo: «Misurano da 1 a 3 cm circa, vanno dal colore bianco al rosato, sono sottili e tendono a presentarsi arrotolate su se stesse», specifica Tepedino.
Nonostante ciò, una volta che sono nelle carni, potrebbero confondersi e sfuggire a un’ispezione visiva. Sebbene per legge sia vietato commercializzare un prodotto infestato, a tutti è capitato di imbattersi in foto e video che immortalavano larve semoventi. E chi le ha viste dal vivo certo non se le scorda.
Immuni
Ci sono pesci immuni dalla contaminazione da anisakis. Sono i salmoni d’allevamento norvegesi, certificati in deroga al regolamento europeo in materia, sentito il parere positivo dell’Efsa, l’Autorità europea per la sicurezza alimentare.
La deroga è stata ottenuta in seguito alle pratiche di allevamento, in particolare in materia di alimentazione. I pesci sono infatti nutriti con mangimi liofilizzati sottoposti a trattamento termico e quindi sicuramente privi di nematodi.
Questo permette ai salmoni norvegesi d’allevamento di poter essere utilizzati tal quali per l’affumicatura (che, ricordiamo, avviene a freddo, quindi non ucciderebbe le eventuali larve) e commercializzati per gli utilizzi a crudo senza che sia necessario il congelamento preventivo.
Il futuro è nell’allevamento?
Lo stesso non si può – ancora – dire per tutti gli altri pesci allevati nei mari d’Europa. «Attualmente non è possibile per gli acquacoltori usufruire di nessuna deroga. Ma è in fase di presentazione il progetto di ricerca ParaFishControl, finanziato dall’UE e mirato a dimostrare l’assenza di vermi parassiti nei pesci d’allevamento europei», annuncia Tepedino.
Restiamo dunque in fiduciosa attesa di poter mangiare freschi e crudi branzini, orate, rombi e affini allevati nel Mediterraneo. Nel frattempo, cuociamo o abbattiamo. Sempre.