Stiamo costruendo un’Europa più “green“, attenta al clima e all’ambiente e non solo ai soldi e agli affari, o solo un’UE più greenwashed, abbellita una mano di vernice, un sepolcro inverdito che cela il solito marciume? Ce lo chiediamo, e ce lo chiediamo qui, perché la partita del riscaldamento globale si gioca anche a tavola: cibo agricoltura e ambiente sono – letteralmente – sullo stesso terreno.
Nei giorni scorsi si è concluso un primo round di negoziati all’interno dell’Unione Europea sulle politiche agricole (PAC) del futuro, finanziamenti e regole riguardanti tutto il settore, da qui al 2027. Si è concluso con un nulla di fatto sui punti più controversi, tanto che la maggior parte dei giornali ha titolato sull’accordo saltato, sul vertice fallito. Ma le cose stanno proprio così?
Cosa è successo finora, e cosa succederà adesso? L’European Green Deal troverà mai applicazione concreta? Per capire di cosa stiamo parlando, e contemporaneamente non rischiare di crollare addormentati su un tema che è meno elettrizzante di una partita di curling – in apparenza – conviene procedere per punti.
Cos’è la PAC e come funziona
La Politica agricola europea viene ridisegnata ogni 4 anni all’interno della Ue: in questo momento sono in discussione le misure e le regole valide per il periodo 2023-2027, anche se su alcuni aspetti a volte si propone una entrata in vigore anticipata. È un tema enorme e pieno di sfaccettature: dai sostegni ai divieti, dagli incentivi alle norme sul lavoro. E muove un sacco di soldi: l’agricoltura è la voce più pesante del bilancio dell’Unione, e per il quadriennio in questione le cifre complessive si aggirano attorno ai 400 miliardi.
Inoltre, da quando la Ue si è impegnata ad effettuare politiche ambientali più sostenibili e a lottare concretamente contro il riscaldamento globale con il Green Deal, questo è il primo banco di prova di una certa importanza, per verificare se sono solo chiacchiere e proclami o si farà qualcosa di concreto.
E una prima buona notizia, in generale, è proprio questa: che l’importanza della questione ha attirato i riflettori su un argomento che prima restava chiuso all’interno di oscure stanze e procedure burocratiche di cui non sembrava fregare niente a nessuno, salvo poi sfociare in finanziamenti ai colossi agroindustriali e bruscolini ai contadini veri. Qualche mese fa, quando un primo round di negoziati si è concluso, abbiamo già parlato di PAC e rischi di colonialismo climatico: i ragazzi di Fridays for future e Greta Thunberg, le associazioni ambientaliste storiche, gli studiosi e le opinioni pubbliche nazionali, tutti sono all’erta. Ora è il momento la discussione passa a quello che viene definito “trilogo”, ovvero un dialogo a tre fra Parlamento europeo, Commissione e Consiglio (cioè i ministri degli stati membri). I regolamenti che compongono la riforma sono: regolamento Ocm, regolamento orizzontale e regolamento sui piani strategici. Quest’ulitmo contiene i punti più importanti: clausola sociale, definizioni (agricoltore attivo, piccolo agricoltore, giovane agricoltore, nuovo agricoltore), architettura verde e ecoschemi.
Sulle definizioni, aspetto importante per delimitare le applicazioni delle future norme, si è raggiunto un accordo la settimana scorsa, e questa è un’altra buona notizia. Sulla maggior parte dei punti, in realtà, si è raggiunto un accordo, per cui già parlare di negoziato fallito è un’esagerazione. Anche perché, sui punti invece su cui l’accordo non c’è, il dialogo – pardon il trilogo – è stato semplicemente rimandato, e dovrebbe riprendere in questi giorni. La presidenza di turno portoghese, che scade a giugno, ha tutto l’interesse a chiudere prima della fine del mese per portare a casa il risultato e intestarsene il merito. Ma quali sono i temi ancora sul tavolo? Sostanzialmente due.
Condizionalità sociale
La condizionalità sociale, o clausola sociale: cosa si nasconde dietro questo nome astruso? Si tratta in pratica di un tentativo di tutelare i diritti dei lavoratori, che in agricoltura come sappiamo spesso sono in balia del caporalato.
Siccome la leva economica è quella che funziona meglio, ed è anche quella che ha in mano l’Ue, si è pensato di ridurre gli aiuti alle aziende agricole in caso di violazione dei diritti dei lavoratori. Il punto qui è trovare un equilibrio, si dice, tra la tutela e la libertà d’impresa, ovvero di non prevedere norme troppo punitive per gli agricoltori. Già si è arrivati a un compromesso, una proposta della Commissione che è passata, e che stabilisce la separazione dei poteri di controllo e verifica da quelli sanzionatori.
Quello che resta in dubbio è il momento in cui entrerà in vigore questo nuovo meccanismo: il Consiglio Ue vorrebbe spostarlo al 2025, il Parlamento europeo lo vorrebbe da subito, cioè dal 2023. Il Parlamento europeo inoltre vorrebbe includere nel raggio d’azione della tutela anche il regolamento sulla libera circolazione dei lavoratori, e la direttiva 2000/78 sul quadro generale per la parità di trattamento. Le posizioni qui si vedono già delineate secondo lo schema classico: il Parlamento europeo, espressione diretta degli elettori, è su posizioni più progressiste e pro-cittadini; il Consiglio, ovvero i ministri dei singoli governi, è più conservatore e pro-impresa; la Commissione, che è l’organo più importante ma anche quello che deve dare conto a tutti, cerca di mediare. Le posizioni in materia di clausole sociali potrebbero presto convergere e portare all’accordo, dicono fonti interne e ben informate. Il vero campo di battaglia è il prossimo punto.
Eco-schemi e architettura verde
Ancora nomi assurdi e minacciosi, ma forse dovremmo prenderci confidenza, d’altra parte la politica italiana ci ha abituato a ben altri deliri, dalle convergenze parallele al semipresidezialismo federalista, che vuoi che sia. L’architettura verde è la cornice generale nella quale si inquadrano vari tipi di norme. Tra queste, gli ecoschemi sono una importante novità, e vengono definiti come le azioni che gli agricoltori possono porre in essere volontariamente a tutela dell’ambiente: per incentivarle, la Ue vuole mettere in campo dei finanziamenti. Sulla misura e la modalità si stanno scornando: il Parlamento ha chiesto un finanziamento del 30% contro il 20% del Consiglio Ue; la presidenza portoghese del Consiglio aveva avanzato una proposta di mediazione, un 23% di finanziamento per i primi due anni e un 25% a partire dal 2025; la Commissione propone invece di lasciare agli Stati membri libertà di scelta tra un finanziamento degli ecoschemi stabile al 25% dei pagamenti diretti per tutta la durata del periodo di finanziamento della Pac, o un finanziamento al 22% nel 2023 con un aumento graduale fino al 30% nel 2027. Proposte e controproposte come si vede, schermaglie che sembrano incagliarsi su minuzie, ma dietro quei punti percentuali si nascondono miliardi, e forse anche il destino dell’Europa e del mondo.
La vera buona notizia, però è che in questo frangente per una volta sembra che sia il Parlamento e le istanze ambientaliste ad aver messo con le spalle al muro la visione conservatrice, tanto che il rinvio dei negoziati – soprattutto il modo frettoloso in cui si sono conclusi venerdì scorso, dopo che nei giorni precedenti le trattative erano andata avanti fino a tarda notte – può essere interpretato come un tentativo del Consiglio di salvarsi in corner. Tim Cullinan, vice presidente della lobby agricola Copa-Cogeca, ha detto a Maria do Céu Antunes, ministra dell’Agricoltura portoghese, una frase che il Domani riporta agghiacciato: “Vogliamo il massimo dei pagamenti diretti, vogliamo il minimo di eco-schemi, vogliamo la massima flessibilità sugli eco-schemi, vogliamo che le misure cui gli agricoltori dovranno ottemperare siano misure che già stanno adottando”. Agghiacciante, certo, la sicumera. Ma è una prova di forza o di debolezza? I punti di vista più intransigenti, dall’altro lato, dicono che è meglio nessun accordo che un accordo di compromesso, in cui il green sia solo una lavata di faccia per farsi belli e continuare come prima. Staremo a vedere.