Musica drammatica, pause a effetto, sceneggiatura incalzante, countdown pressanti, cloche con ingredienti misteriosi, visi contratti dall’ansia e il tormentone per dare la calcolata suspence al programma: “Giù i coltelli!”
Lo avete capito, no? Stiamo parlando di MasterChef, ovviamente. Come non riconoscere gli inconfondibili tratti distintivi di uno tra i più amati talent di cucina degli ultimi anni?
E invece no.
Stiamo parlando della versione nobile e professionale di Masterchef, del topo di città, vale a dire di Top Chef.
Top Chef, il cui primo episodio è andato in onda mercoledì scorso su Nove – canale generalista di proprietà di Discovery Italia (qui potete rivederlo), con un buon ascolto, 1.200.000 spettatori , secondo i complicati calcoli del canale – è infatti un altro degli innumerevoli cooking show che popolano (infestano?) i palinsesti televisivi.
Somiglia molto a Masterchef, ma qui i protagonisti sono tutti professionisti.
Vale a dire che i concorrenti non sono più cuochi amatoriali, nonne in cerca di tardive rivincite o ragazzini boriosi che spignattano per hobby nella proprie cucine, ma dei veri cuochi.
Questa la sola, sostanziale differenza della versione pregiata di Masterchef. Anche il produttore è lo stesso, Magnolia (e si vede).
Top Chef prevede la solita trimurti, anzi, quadrimurti, di giudici, nomi di tutto rispetto della ristorazione italiana e internazionale, vale a dire Annie Féolde, direttamente dalla rinomatissima Enoteca Pinchiorri di Firenze (tre stelle Michelin), Mauro Colagreco, chef del Mirazur di Mentone, sesto in valore assoluto nella 50 Best Restaurants 2016 (due stelle Michelin), Moreno Cedroni, notissimo chef de La Madonnina del Pescatore (due stelle Michelin), e Giuliano Baldessari, talento emergente dell’Aqua Crua (una stella Michelin).
Rispettabilissima giuria interamente a marchio Michelin (dando per scontato “che la Guida Michelin sia la Bibbia, il che non sempre è vero”, come scrive Aldo Grasso sul Corriere), senza però nemmeno un Bastianich che con le sue sortite e i suoi modi “coloriti” ravvivi un po’ le monocordi favelle degli autorevoli giudici, per ora più a loro agio dietro ai fornelli che non davanti alle telecamere del talent show, tranne forse Moreno Cedroni, già ben calato nella parte del giudice che incute rispetto.
La voce da Sandra Milo dei tortellini non aiuta invece Annie Féolde, peccato.
Una parte importante del programma è rappresentata ovviamente dai concorrenti, dagli chef che, almeno a giudicare dal primo episodio trasmesso mercoledì scorso, ci riserveranno delle vere e proprie chicche, non solo culinarie.
Come non apprezzare infatti le dotte lezioni a base scientifica elargiteci con generosità da Palmiro Carlini da Offida (AP), uno degli chef in gara, che promette di svelarci le meraviglie della neurogastronomia, “una nuova scienza che collega il cibo ai neurotrasmettitori” –cioè al nostro cervello– mentre noi, stolti, abbiamo sempre pensato che il senso del gusto fosse collegato direttamente al pancreas?
Per non parlare delle lezioni di filosofia pratica applicata al tortellino, sempre impartiteci dallo stesso concorrente, che chiama la sua creazione nientemeno che “L’olfatto, Aristotele aveva sbagliato”, in quanto –ci informa lo chef– “Aristotele aveva puntato tutto sul gusto, mentre oggi scopriamo il retro olfattivo”.
Altro che cause prime e motori immobili: di bistecche e salumi, ragionava Aristotele!
Peccato che poi, secondo Colagreco, il buon Aristotele avesse ragione, mentre il povero concorrente e il suo piatto privo di gusto, torto marcio.
Ma bisogna riconoscere che essendo tutti professionisti (chi ha lavorato con Gualtiero Marchesi o Alain Ducasse, chi ha ottenuto la stella Michelin, chi gestisce ristoranti di sostanza a Milano, chi è figlio d’arte e chi è stato cuoco personale di Vasco Rossi), vittorie e sconfitte dei concorrenti vengono amplificate, e possono anche incidere sulla loro carriera.
E così, tra una lezione di filosofia spiccia e una scenografica masticata di Moreno Cedroni, scorrono le prove del talent, dove scopriamo le vecchie conoscenze di Masterchef –per quanto con nomi diversi– vale a dire il fire test, con ingredienti a scelta, la prova in esterno –in Sicilia per il primo episodio, nella bella Marzameni– il cook off o duello, e il final blade, vale a dire l’eliminazione finale.
Piatti e filosofia, dunque, per il nuovo (!?) talent gastronomico, che non sembran discostarsi dall’interpretazione di ciò che oggi è diventata la cucina: narrazione televisiva fatta bene, culto dello chef, estetica sfrenata, impiattamenti rubati (malamente) agli espressionisti tedeschi, filosofia spicciola a base di “emozioni.
E il cibo?
Ah, bene, per quello possiamo stare tranquilli: dopo tanta arte e cultura potremo deliziare vista e stomaco con l’ardita sperimentazione di uno dei professionisti in gara: pane e pomodoro.