Mica sono tutti talebani del gelato. Mica sono tutti cultori del “vero gelato artigianale”, quello puro, da intenditori, acquistato nelle gelaterie più alla moda (che poi sono quelle presenti nella classifica di Dissapore).
E mica tutti sono fanatici incorreggibili del gelato genuino, fatto “come una volta”, salvo poi scoprire che anche la gelateria “artigianale” più osannata faceva poi ricorso a turpi semilavorati e noi, fini intenditori, non ce ne eravamo mai accorti?
C’è anche chi non disdegna affatto di ingozzarsi dei biechi gelati industriali, servendosi direttamente dalla vaschetta-bidone da chilo in vendita al supermercato, affondandoci il cucchiaio dentro e trovandoci persino un insano godimento. Insomma, trovandolo a volte pure buono.
Un’eresia? Potrebbe essere, ma un’eresia più diffusa di quanto non immaginiamo, visti i notevoli consumi di gelato in vaschetta (seppur il trend sia in calo) da parte di noi italiani.
Ed è per questo che il mensile Il Test (ex Salvagente) nel numero in edicola ha messo a confronto ben 12 tipi di confezioni di gelato in vaschetta tra quelle più diffuse nei principali supermercati italiani, tutti al gusto di cioccolato.
E li ha fatti valutare, come ingredienti, gusto a consistenza, a un a giuria di esperti composta da tre maestri gelatieri e un blogger del settore, vale a dire Simone De Feo della Cremeria Capolinea di Reggio Emilia, numero 1 della nostra classifica 2016, Dario Rossi della Gelateria Greed, ora a Frascati, Marco Mattioli, una pasticcerie a Roma, Pastafrolla, e un’altra, Peppa e Nando, a Grottaferrata, infine Renato Romano, titolare del blog “Jo Pistacchio“.
E bisogna dire che il verdetto è stato positivo, tutti sono stati promossi, sia come gusto che come ingredienti. Promossi ma non certo con lode: pochi prodotti sono andati oltre la sufficienza, e a determinare il mediocre risultato ha influito, senza dubbio, la qualità degli ingredienti, o meglio la loro composizione.
A partire dal latte. Scacciamo subito la tenera immagine di sorridenti pastorelle e di verdi pascoli alpini con relative mucche: il latte dei gelati industriali è nella totalità dei casi in polvere, e successivamente reidratato; vale a dire che il liquido bianco allo stato originale è del tutto assente, sostituito dal più economico semilavorato a base di latte.
Un elemento che certamente fa la differenza, soprattutto per un Paese, come l’Italia, che vanta una lunga tradizione gelatiera, e che ci pone a grande distanza dai vicini tedeschi, che pur non vantando una tradizione come la nostra, quando dicono “gelato al latte” intendono dire che c’è una legge che prevede che il latte debba essere presente con una percentuale non minore del 70%.
Anche panna e burro, troppo cari per sostenere il prezzo con cui è venduto il gelato in vaschetta, sono praticamente assenti, a favore dei più economici grassi vegetali più a buon mercato, i primi a risentirne sono ovviamente gusto e consistenza.
Perfino il tuorlo d’uovo, componente fondamentale del gelato artigianale, è stato sostituito dai più economici emulsionanti, dando un’ulteriore spallata al mancato obiettivo del raggiungimento dell’eccellenza.
Insomma, una babele di ingredienti “alternativi” a quelli tradizionali, che danno origine a un prodotto talvolta gradevole, certo, ma lontano dalle vette di un ottimo gelato.
Un timido passo avanti è stato mosso grazie ad un tentativo di autoregolamentazione approntato dall’Istituto del gelato italiano, che ha stilato un Codice di autodisciplina Igi per i prodotti della gelateria industriale. Per quanto non tutte le vaschette in vendita nei sueprmercati italiani sono rpodotte nel nostro Paese.
Un buon segnale sicuramente da perfezionare, in quanto, per esempio, parlando dell’ingrediente “latte”, fa riferimento alle percentuali di grassi del latte (maggiori o uguali al 2,5%) e delle proteine (6% di estratto secco sgrassato del latte) ma non indica alcuna quantità minima: ben lontani dal semplice 70% dei più essenziali tedeschi.
Insomma, una regolamentazione ancora carente per uno dei prodotti più diffusi, e che merita una maggiore attenzione.
In attesa di norme e disciplinari più rigorosi, non possiamo che affidarci al nostro gusto o, ancor meglio, a quello di chi di gelato se ne intende veramente. In base al test, che ha previsto l’assaggio “alla cieca” dei dodici prodotti, la maggior parte delle strutture e consistenze dei gelati non sono state soddisfacenti, mentre è stata contestata la presenza di aromi non naturali che andavano a falsare il bouquet dei gusti, rendendo impossibile persino rilevare la differenza tra cacao e cioccolato.
Sono inoltre risultati percepibili i grassi vegetali, che hanno lasciato in bocca una sgradevole sensazione di “unto”.
Il peggiore di tutti questi gelati è risultato quello della Lidl, “Gelatelli”, con un sentore troppo percepibile di siero di latte di bassa qualità e con l’aroma di cioccolato non percepibile al gusto. Il prodotto è anche risultato il più economico di tutto il gruppo, con un prezzo di 3,55 euro al chilo.
Menzione di merito per Haagen- Dasz, con una struttura migliore rispetto ai concorrenti che ha lasciato la bocca molto più “pulita” e meno grassa rispetto agli altri prodotti testati, ma meno apprezzata come gusto per i numerosi pezzetti di cioccolato al suo interno che non hanno accentuato la piacevolezza del cioccolato.
Paradossalmente, il risultato è stato possibile grazie al maggiore utilizzo di grassi nella composizione del gelato: il 20%, il più alto in assoluto. Valore però che ha permesso di non utilizzare emulsionanti alternativi, a tutto vantaggio di gusto e struttura.
Palma d’oro invece come miglior gelato testato a Conad-crema e cioccolato, con una buona quantità di cacao e cioccolato e un gusto giudicato “ottimo”. Oltretutto per poco più di 5 euro al chilo: una bontà a buon prezzo.
Ecco quindi sotto riassunti i risultati del test, in ordine decrescente dal migliore al peggiore. E buon gelato (industriale) a tutti.
O forse sarebbe meglio dire “medio” gelato a tutti…