Volevo solo delle scarpe nuove. E’ iniziata così la mia spedizione perlustrativa al nuovo centro commerciale di Arese, con velleità modaiole da nuova stagione (disattese, sigh) e conseguente deriva bulimica alla ricerca di cibo.
Va bene la catena, il cibo standardizzato, sapori identici a migliaia di chilometri, ma vediamo se qui dentro c’è qualcosa di davvero buono.
E, prima scoperta della giornata, imparo che, dentro al centro commerciale, la gente viene colta dalla sindrome del turista e riesce a mangiare bistecche da mezzo chilo anche all’ora della merenda.
E’ che Il Centro è come i casino: anche in un giorno di quasi sole riesce a farti perdere la nozione del tempo, e la fame può coglierti alle ore più impensate.
Per questo, il rumore da mandibola collettiva è più forte della musichetta di sottofondo e la coda da KFC non diminuisce nemmeno alle 15 o alle 16, quando dovresti essere alle prese con lo striscio compulsivo della carta di credito per le tue scarpe nuove.
Kentucky Fried Chicken, dicevamo.
In Italia non è certo il primo ristorante ad aprire, ma per i milanesi è una novità, di quelle che ti fanno sentire in vacanza, un po’ come succede con Starbucks.
La fila è chilometrica nonostante sia un tranquillo lunedì di lavoro, pare che nessuno voglia uscire di qui senza la sua dose sacrosanta di pollo fritto.
E, visto che le scarpe nuove sono un miraggio tra espadrilles con i tucani e infradito di scomodità inaudita, mi metto in coda alla ricerca di una soddisfazione impanata. Sono solo le 11, mi accontento di uno spuntino condiviso con la mia compagna di avventura e scelgo 2 pezzi di COB (chicken on the bone, pollo con osso, che non vuol proprio dire coscia, sia chiaro).
4,20 euro di panatura molliccia e iper-salata, molto golosa a dire il vero, ma nel complesso talmente tanto poco croccante da lasciare insoddisfatti. Butto di nuovo l’occhio sulla fila: è aumentata.
Andrei da quegli ignavi curiosi affamati e gli consiglierei di spendere meglio le loro mezzore libere, se non avessi appena fatto altrettanto.
Mentre, tra Zara e h&m, realizzo che le espadrilles si possono trovare anche con gli ananas stampati, mi assale un senso di rivalsa da frittura.
Come è possibile che il pollo fritto di KFC abbia tutto quel successo? Ho bisogno di capire, e per amore della scienza, decido di sperimentare la seconda panatura della giornata. Altro giro, altra catena.
Ci buttiamo (previa coda scorrevole) dentro Wiener Haus.
Già a questo punto non sapete più se sia ora di colazione, aperitivo o pranzo, e qui vi sarà dato il colpo di grazia: più buio di un ristorante seminterrato a Capo Nord in inverno, con un arredamento in stile festa della birra più posticcio che a carnevale.
Dove sono?, che ore sono?, e soprattutto: cosa mangio?
Il menu è ricco: si spazia da würstel e patatine agli spatzle alla sacher torte, ma il vero piatto inquietante è quello che riesce a mettere insieme paccheri con salsa di pomodoro, burrata e basilico, tagliata di petto di pollo alla griglia e purè di patate.
A Vienna si userà anche, ma io davanti a questo mix di mediterraneo e nordico rabbrividisco.
La original Wiener, cotoletta di maiale con osso e patatine fritte, arriva al tavolo in tempo record, peccato che le patatine siano già freddine e la cotoletta sia tristemente unta, nonché più simile a una suola di scarpe.
Sì, lo so che sono in un centro commerciale e non in una locanda milanese, e so anche che questa porzione generosa costa solo 11 euro, ma esiste della dignità anche nel cibo da catena. Vero?
Se la cava meglio il piatto dell’amica che si è immolata alla causa dissaporiana: la sua Ljubljanska (cotoletta di tacchino panata, farcita con prosciutto cotto Praga e Montasio) è più morbida e gustosa, gli spatzle al gorgonzola e noci un po’ scotti ma si sa come vanno le cose con gli spatzle.
Le patate alla contadina con cipolla e pancetta sono davvero una di quelle “porcherie” che piacciono a prescindere, senza arricciare il naso.
Di logo in logo, per la digestione difficoltosa della cotoletta scegliamo di addormentarci in piedi in coda nell’attesa di entrare da Primark. Le scarpe somigliano pericolosamente a Wiener bruciacchiate, probabilmente con la stessa consistenza.
Urge addolcire il palato.
La sfogliatella riccia di Sessa è un’oasi nel deserto commerciale.
Un eurino per una piccola parentesi napoletana ad Arese, croccante sotto i denti, con un’esplosione di fiori d’arancio notevole. Peccato non assaggiare la pastiera, ma ho solo uno stomaco, mi perdonerete.
Un’ora e diversi negozi di calzature dopo ci prende la classica “voglia di qualcosa di buono”, perché si sa che la pubblicità è l’anima del centro commerciale.
Per assaggiare l’hamburger di polenta, però, bisogna aspettare ancora un po’: Da 30 Polenta é un coming soon che ci attira, con la sua gigantografia di patatine di polenta, ma forse gli esploratori gourmet avranno già sperimentato la taragna-fast in Piazza Gae Aulenti a Milano.
Proprio di fianco c’è Roll Eat: in versione veg, carne e pesce, si tratta di un roll ripieno di riso e ingredienti vari, a volte un po’ buttati lì a caso.
Una sorta di maki, ma con ingredienti decisamente più arditi.
Scegliamo la versione Jango (3,90 euro) con pollo, peperoni, cipolla rossa, salsa BBQ giapponese e crema alle melanzane.
Non è un caso: i roll più blandi non ci interessano, noi vogliamo i sapori forti. In realtà, però, sa di poco. Di riso, sì. Di BBQ, un po’. Il resto si perde in una delusione un po’ insipidina.
Peccato: le birre Baladin e le bibite Lurisia ci avevano fatto sperare in qualcosa di gastrofighetto all’altezza.
Non contente, quindi, cerchiamo di rifarci la bocca con un sorbetto da Stecco Natura.
Tutto siciliano al 100%, sia ben chiaro: è scritto ovunque e le ragazze al bancone ve lo ripeteranno come un mantra.
Allora: i sorbetti su stecco vengono prodotti in Sicilia, realizzati solo con frutta isolana (persino il mango) a parte i gusti cocco e ananas. Mi tornano in mente le espadrilles con gli ananas, ma è solo un momento di debolezza.
A chi sgrana gli occhi davanti ad un “ghiacciolo a 2 euro e 50“, la gentile donzella spiega la differenza tra ghiacciolo e sorbetto, e vi assicuro che si sente tutta.
La fragola è fragola, vera fragola, tanta fragola. Il pistacchio, invece, ha una consistenza più pastosa e un gusto intenso davvero notevole.
Si può anche scegliere di aggiungere cioccolato e pralinatura, ma io consiglio di assaggiarli nature, almeno la prima volta. Unico neo: procuratevi qualsivoglia materia liquida perché alla fine vi verrà una sete da estate in Sicilia assolata.
Per non farci mancare proprio niente, facciamo anche un assaggio di granita, rigorosamente alla mandorla, e vi dirò che non è per niente male.
E’ finita. Ho messo due chili, ma niente scarpe nuove.
Per addolcire la pillola dello shopping mancato, scopro che nel magma delle catene di montaggio dei vestitini, c’è anche Domori, una ciliegina sulla torta per foodies veri.
Il suo gianduiotto mi fa dimenticare le code ai parcheggi, le code in autostrada, le code da KFC.
Tornerò, Arese. E proverò le tigelle, la polenta, la pizza e il gelato. E probabilmente non troverò scarpe nuove.