La porzione di terra coltivata a Ogm è passata da 1,7 milioni di ettari nel 1996 a 134 nel 2009, a usarli sono 14 milioni di contadini in 25 paesi del mondo, dei quali 16 in via di sviluppo. Una diffusione accompagnata da scontri anche aspri tra sostenitori e contrari. I primi vedono negli Ogm lo strumento per aumentare la produttività, migliorare gli aspetti nutrizionali, usare meno pesticidi con benefici per l’uomo e l’ambiente. I secondi sottolineano i rischi legati alla salute e alla biodiversità, evidenziando gli effetti negativi che gli Ogm avrebbero nei paesi in via di sviluppo se si diffondesse una tecnologia appartenente a poche multinazionali: i piccoli contadini di questa parte del mondo sarebbero più poveri.
La discussione continua, e risolvere una controversia del genere non è nelle mie intenzioni né tantomeno nelle mie forze. Però, ricordando che le prime generazioni di Ogm erano essenzialmente piante resistenti agli erbicidi o agli insetti, mentre nelle più recenti sono stati migliorati gli aspetti nutrizionali (il Golden Rice per esempio), è interessante conoscere la storia di una coltivazione Ogm che negli ultimi anni si è diffusa velocemente: il cotone BT. La sigla BT indica che il cotone è stato modificato geneticamente, e che è stato inserito nel DNA della pianta quello del batterio Bacillus Thuringiensis, in grado di produrre una tossina innocua per l’uomo ma letale per molti insetti infestanti.
Il cotone BT è stato introdotto a metà degli anni ’90 negli Stati Uniti e si è diffuso così rapidamente che oggi gli ettari di terreno coltivati sono 16 milioni, il 45% della superficie mondiale coltivata a cotone. Solo in India sono 8,4 milioni di ettari mentre in Cina 3,7 milioni.
Una diffusione simile conferma che, almeno questo Ogm, garantisce agli agricoltori vantaggi innegabili. Ma è il caso di scendere nei dettagli.
Dicevamo che in India 5 milioni di contadini coltivano cotone BT, ormai il 90% della superficie coltivata a cotone in quel Paese. Dove l’azienda agricola prevalente ha una grandezza media di circa 5 ettari, un modello ideale per valutare l’incidenza del cotone BT sulle condizione economiche degli agricoltori. Analizzando i dati dei raccolti di 3 anni: 2002, 2004, 2006 e confrontandoli con i dati della coltivazione di cotone convenzionale, si vede chiaramente che quello BT offre 2 vantaggi: un minore uso di pesticidi (circa il 41% in meno) con ricadute positive per l’ambiente, per la salute dei contadini, e per costi e rese in media superiori del 37%.
Il costo delle sementi Ogm Monsanto rispetto a quelle convenzionali (+166%) è largamente compensato dai benefici per i contadini, il cui maggior profitto per ettaro è di 135 $ (+89%). Un aiuto concreto alla riduzione della povertà.
Capisco che questo modello non sia applicabile tal quale ad altre colture e altri contesti economici, ma credo siano dati dei quali vale la pena discutere.
[Fonti: New biotechnology, immagine: Paperblog]