Domenica mattina attraversavo il centro di Sarzana con un pensiero fisso: mi cadesse in testa una mela, forse mi aiuterebbe a capire. Capire e pensare, in questi giorni del Festival della Mente, potrebbe sembrare cosa scontata, in fondo non diversa dalla caduta di una mela, specie se la notte precedente, sugli spalti della fortezza, Piergiorgio Odifreddi ne aveva dato conto attraverso la lettura di passi da “I Principia” di Isacco Newton.
A me sarebbe bastato trovare un punto di equilibrio gastronomico, una chiave per collegare tradizione e innovazione, soprattutto dopo che, nelle stesse piazze, Carlin Petrini, in polo arancione, allargando a dismisura le braccia, aveva tuonato sarcastico contro “questi chef e questi stellati”, colpevoli di appropriarsi indebitamente dell’identità della cucina italiana, che spetta di diritto alle nostre donne, alle nostre mamme, vere e uniche depositarie delle centinaia di ricette che costituiscono la nostra tradizione: della serie “vogliamo mettere una bella tagliatella?” Un applauso scrosciante e convinto aveva accolto il nostro guru, tra sorrisi e gesti di approvazione, riaprendo nel mio animo di gurmé, l’antica, primaverile ferita di origine strisciante.
Attraversavo Sarzana per andare ad ascoltare Davide Oldani e Camilla Baresani: confidavo che avrebbero fatto cadere la mela, che mi avrebbero aiutato a capire.
“Io sono un cuoco pop”, esordisce Oldani: sono popolare, ma anche popolano, legato alle mie tradizioni e al mio territorio, a materie prime spesso dimenticate e umiliate, ma da rivalutare nel nome del gusto e della originalità, della irripetibilità e della stagionalità dei piatti.
La Cucina Pop ci può condurre fuori dell’oceano rosso e burrascoso della competizione esasperata, della qualità fine a se stessa, per portarci nel calmo mare blu di una cucina comprensibile, accattivante, di qualità costante e rivolta al maggior numero di persone grazie a prezzi accessibili. Sempre sul pezzo, dice, goccia a goccia: sono un cuoco, non uno chef.
Una cucina che non può allontanarsi dalle persone e dalla memoria: per questo Oldani sceglie come luogo Cornaredo, dove non c’è il mare, né i monti e nemmeno le terme, ma dove si respira una atmosfera priva di frenesia. E’ la sua casa, il suo posto, la sua terra e lì nasce la sua trattoria, che si chiama il D’O, che per di più in giapponese significa “La Via Giusta”.
La mela era finalmente caduta. Anzi era una cipolla, addirittura caramellata. Pop.
Camilla Baresani, proponendo con delizioso garbo la definizione di Pop Chic, sottolinea, a scanso di equivoci, che ci troviamo di fronte a una cucina raffinata, tecnicamente ineccepibile, bella da vedere, che risveglia nuove sensazioni al palato e in cui nulla è lasciato al caso: dalla sequenze dei piatti, all’aspetto salutista, dalla filosofia dei contrasti equilibrati, al ridimensionamento del vino, fino all’affermazione di libertà e convivialità in barba ad ogni galateo, al grido di “viva la scarpetta”, condizione necessaria, addirittura richiesta come attestazione di godimento.
La Cucina Pop vuole esser Movimento, cantiere di progetti e idee, scuola e gavetta, punto di partenza per giovanissimi ragazzi: i giovani sono come spugne, assorbono, assorbono e un giorno cominceranno a rilasciare, diceva il Maestro (Gualtiero) Marchesi. Un progetto pensato ed elegante, la cucina al centro e attorno altre attività, dal design al fumetto, dal marketing all’editoria: sogni e idee che Oldani persegue con evidente passione, saggiamente passo dopo passo, un po’ alla volta, ma anche per gioco, persino con un certo imbarazzo, come quando gli proposero di indossare un terrificante e improbabile paio di occhiali glamour alla Andy Warhol.
Conoscevo Oldani, ma la cipolla caramellata pop che mi è caduta in testa finisce col convincermi, mi piace, resto affascinato dal progetto, anche se ogni tanto, nel lungo termine, difficilmente potrei resistere all’irrefrenabile bisogno di salire sulle montagne russe di una sconvolgente e dissacrante cucina Rock. Se esiste. Davide Oldani è giovane, insegue e caramella i suoi sogni, per crescere: la sera, un altro ragazzo, pallido e vestito di scuro, ha parlato dei suoi sogni di prigioniero. Roberto Saviano sarebbe felice di potersi sedere tranquillo, guardando gli amici negli occhi, a un tavolo del D’O. Ma questa è un’altra storia.