Se Torino è la città che –probabilmente per prima– ha ufficialmente preso una svolta veg-friendly, grazie all’outing del sindaco Appendino che promuove la dieta vegetariana, forse allora è il caso che i torinesi inizino ad attrezzarsi per mangiare come si deve, anche quando carne e proteine animali vengono abolite.
Preso atto che quello veg è in qualche modo il nostro futuro non troppo lontano, è ora di prendere le misure, capendo di cosa stiamo parlando e trovando qualche porto sicuro dove far tappa per una cena fuori a cui magari manchi la ciccia ma non il gusto.
Per questo abbiamo deciso di provare Chiodi Latini new food, il temporary restaurant vegetale-integrale (“vegano” è un’etichetta un po’ antipatica, in effetti) aperto da qualche mese al piano di sopra di Villa Somis, noto e amato ristorante della Torino collinare.
Ma facciamo un po’ d’ordine in tutto questo garbuglio di cibo.
Antonio Chiodi Latini, fondatore di Villa Somis, è chef di grandissima esperienza. Che a un certo punto della sua vita decide di fare una scelta radicale: lui e sua moglie, convinti dalle teorie di Colin Campbell e Rudolf Steiner, decidono di diventare vegani.
E certo, per quanta maestria ci sia, non deve essere semplice cucinare il piccione se la tua filosofia alimentare prevede che il massimo apporto animale dato al cibo sia il letame che concima l’insalata.
Ma non c’è problema, perché Antonio Chiodi Latini, in tutti questi anni di esperienza, ha trasmesso il suo sapere al figlio Stefano, che è cresciuto –diventando uno dei più promettenti chef della nuova leva torinese– ed è dal 2013 perfettamente in grado di tenere salde da solo, senza sbavature, le redini di Villa Somis, proponendo una solida cucina della tradizione, dove la carne più che ammessa è spesso protagonista.
Quindi, al piano di sotto di questa villetta collinare rimane Stefano, mentre al piano di sopra chef Antonio si dedica alla sua nuova passione culinaria, aprendo un temporary restaurant in cui propone una ricercatissima cucina rigorosamente veg.
Detta così, sembra una cosa molto pretenziosa. Invece è come se Antonio Chiodi Latini e sua moglie ti portassero un po’ a casa loro, preparando a mano le orecchiette nella cucina a vista posizionata direttamente in sala e facendo quattro chiacchiere con gli ospiti seduti a tavola mentre ogni tanto cambiano i dischi in vinile.
Sali le scale, e loro sono lì a centrifugare la frutta e la verdura che un attimo dopo ti verrà servita. Devo ammetterlo, mi è salito un po’ di panico quando ho pensato di dover pasteggiare a infusi e frullati. Ma, con grande sollievo, il vino è ammesso.
La seconda preoccupazione, che immagino potrebbe essere comune a molti che si approccino a una cena vegetale-integrale, è quella di alzarsi da tavola, se non con la fame, con la voglia di un buon hamburger al sangue.
E, nonostante le rassicurazioni dello chef in questo senso partano già dall’antipasto, ho bisogno di qualche portata per essere certa che dopo non scapperò dal porcaro più vicino. Ma la verità è che alla fine del percorso che Antonio Chiodi Latini ha pensato per i suoi ospiti non si sente davvero la mancanza di nulla.
La mano dello chef è di grande esperienza. Prendete un cuoco e toglietegli un buon 70% delle materie prime con cui lavora. Non è facile immaginare e realizzare un menu così creativo, buono, divertente e dinamico, come sono i piatti che assaggiamo da Chiodi Latini.
Piatti che (ri) portano a tavola odori e sapori della terra, senza null’altro che li confonda. Come nell’amuse bouche di spuma di semi di zucca, o nel gustosissimo minestrone freddo, condito solo con un filo d’olio d’oliva.
Piatti in cui lo chef gioca con le consistenze, evitando che un menu a base vegetale possa risultare monotono, e aggiunge per esempio qualche crostino di pane, uno spaghetto di kamut con sale malto, del sale alla vaniglia o del “gesso di carota” (ovvero carote essicate a lungo), elementi che servono a dare un po’ di croccantezza qua e là.
Piatti in cui lo chef si diverte e diverte, che è ciò che fa la grande differenza tra una buona cucina e una cucina d’autore.
Come nella creazione “Non chiamatelo finto uovo”, un piatto che dell’uovo ha solo l’aspetto ma che in null’altro punta a ricordarlo (“non sopporto quando la cucina vegana propone dei surrogati”, spiega lo chef): l’albume è acqua di mandorla, il tuorlo zucca.
Oppure in quello che è il piatto principe della serata: “la rossa francese”, che ricorda un tortellino ma che è uno scrigno di rapa ripieno di patata vitelotte con germogli di lenticchia, caramello di limone biologico e acqua di soia.
Piatti di sostanza, che riempiono e soddisfano, come la coloratissima “insalata mista”, che in realtà è una lasagnetta di pasta al mais farcita con melissa, verbena, fiori e altre erbe.
O come il cappuccino di porcini con verza, probabilmente il piatto più consistente e goloso del menu.
O come le buonissime orecchiette fatte a mano dalla signora, come una volta, ma senza glutine, condite con pomodoro e foglie d’ostrica (se non le avete mai provate, sappiate che il sapore che danno è incredibile).
Tutto è da scoprire, entrando dentro alle creazioni dello chef e completandole con una spolverata di zafferano di zucchine qua, una mescolata là. Nessun piatto è alla fine difficile nel gusto, ma ogni creazione necessita di una spiegazione che viene data volentieri.
Lo chef e sua moglie ti raccontano con amore i piatti che ti vengono serviti, e soprattutto ti spiegano perché hanno scelto questa dieta, senza cercare di convincerti che è la scelta giusta.
Perché quando ti approcci con una cosa diversa da quello a cui sei abituato, cadi nei soliti cliché: “Non ho nulla contro i vegani, purché non tentino di indottrinarmi”. Be’, loro non lo fanno, semplicemente fanno conversazione.
Chiudiamo il pasto (più che sazi, è bene specificarlo) con il “freddoloso”, un gelato al finocchio con prezzemolo e terra di Martin Sec, e ne usciamo con una serie di interrogativi: abbiamo passato una serata piacevole? Sì. Abbiamo mangiato bene? Indubbiamente. Trasformeremmo così la nostra alimentazione? No, per quanto consci di avere una dieta meno salutare di questa.
In generale, è una bella novità, questo temporary restaurant, da provare almeno una volta prima che sia tardi.
I prezzi sono interessanti, per una cena di livello (vengono proposti tre diversi menu a 35, 45 e 55€). Di sicuro, difficilmente vi ricapiterà di provare piatti così.