Pharmacy 2: perché parlano tutti del ristorante di Damien Hirst

L'artista inglese Damien Hirst ha aperto Pharmacy 2 a Londra con lo chef ristoratore Mark Hix. Per l'apetto inconsueto che ricorda una farmacia post-moderna a Londra è il ristorante del momento

Pharmacy 2: perché parlano tutti del ristorante di Damien Hirst

Perché mai si parla tanto del nuovo ristorante Pharmacy 2, di Londra? Cos’avrà di tanto speciale questo luogo, quali pietanze ricercatissime, quali chef stellati, quali ingredienti esclusivi saranno mai proposti in nel nuovo tempio della cucina cosmopolita?

Niente.

O meglio, niente di tutto ciò.

Perché Pharmacy 2 è un ristorante di cui non si parla per la qualità del cibo servito o la maestria dello chef, entrambe comunque date per sottintese, ma per la particolare figura del titolare/proprietario, l’ambientazione e gli arredi proposti.

Lui, l’anomalo titolare, è Damien Hirst, e se questo nome non vi dice nulla sappiate che è uno degli artisti più quotati e più discussi della corrente Young British Art che ha preso le mosse agli inizi degli anni ’90 in Inghilterra.

E il luogo fisico dove è situato il ristorante è la sua nuova galleria d’arte, Newport Street Gallery, nel quartiere di Vauxhall, a Londra.

Insomma, un (altro) artista che si dà al cibo, alla ristorazione.

Diciamo che l’idea non sarebbe poi così originale o artistica: ormai al cibo, nuovo idolo della nostra era, si abbina praticamente di tutto, dalla vendita di libri all’oggettistica, e in fondo anche in Italia non mancano casi di commistione tra tra arte e ristoranti, senza scomodare “artisti” imprenditori di altro genere come Belen, che ha aperto Ricci Milano con Joe Bastianich.

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Ma lui  è Damien Hirst. Non una soubrette, non un attore o un comico televisivo, ma un vero artista, uno, cioè, che già nel ’98 intuendo le potenzialità dell’accoppiata cibo-arte, aveva aperto, sempre a Londra, il primo  ristorante Pharmacy, meta di calibri tipo David Bowie o Madonna, chiuso dopo soli cinque anni per problemi non di gestione ma di tipo immobiliare.

Hirst è un artista sui generis, originale, fuori dagli schemi, con quella giusta aria da scapigliato che tira tanto, dedito, a suo tempo, all’alcool, alle misture, agli stati alterati di coscienza –e da qui, probabilmente la sua attrazione per preparati e composti chimici o farmaceutici– capace di raccontare senza problemi di quando, non ancora artista affermato, fu capace di rubarsi un’intera rastrelliera di bistecche con l’osso nel magazzino dove lavorava per farsi a casa il pasticcio di carne.

O di quando, ai tempi del primo Pharmacy, fu beccato dal suo stesso buttafuori con le mani nel sacco, vale a dire nel classico bagno con la classica droga in mano, e che scongiurò il suo stesso dipendente di cacciarlo dal suo stesso locale, in quanto “devi farlo, lo sai che in questo locale abbiamo un grosso problema con la droga!” (ordine naturalmente non eseguito dal buttafuori in evidente conflitto di interessi).

Uno, insomma, che non solo non nasconde le proprie manchevolezze ma che anzi, sembra addirittura volerle ostentare.

Uno che richiama quelle stesse debolezze anche negli  arredi e nell’ambientazione del ristorante, sostituendo ai dozzinali e tristissimi quadri da ristorante, immagini e rimandi di un mondo artificiale, chimico, alterato, fatto di pasticche e flaconi alchemici.

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Come un vero artista, o un abile imprenditore (doti, queste, assolutamente conciliabili, al di là della retorica romantica dell’artista dannato e privo di senso pratico).

Oltretutto il nostro pare nutrire una autentica passione per il cibo, oltre che per l’arte, visto che lo considera “arte senza prova tangibile”. E’ nel giro dei ristoranti dal 1996, quando collaborava con lo chef Marco Pierre White al Quo Vadis, sempre a Londra. Insomma, una persona, un artista particolare, di quelli che in qualche modo smuovono le masse.

Ecco, probabilmente  il successo di Pharmacy 2 sta tutto qui: non nella qualità del cibo servito, non nel luogo particolare e trendy all’interno di una galleria d’arte, non nell’ambientazione volutamente assurda e stridente con la funzione principale del locale, e forse nemmeno nella possibilità di ammirare le opere d’arte dello stesso Hirst (quali ad esempio i Medicine Cabinets e i pannelli Kaleidoscope ispirati alle ali di farfalle) quando la maggior parte di noi  non sa nemmeno riconoscere un’autentica crosta da una vera opera d’arte moderna.

No, il successo di Pharmacy è lui, l’artista dannato, l’artista perennemente sopra le righe, con la sua allure vagamente rock che ha “anche” aperto un ristorante: ci si va per respirare un po’ della sua pazzia, della sua indole, della sua visione delle cose e del mondo.

E infine,  forse, anche per assaggiare i menù proposti dallo chef Mark Hix,  socio di Hirst in questa impresa.

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Quindi, per finire, è doveroso un accenno alla cucina, al cibo. Il ristorante offre piatti della tradizione inglese rivistati,  con materie prime locali e ispirazioni di sapore internazionale,  insieme a una selezione di vini pregiati e cocktail ideati dalla stesso Hix.

E ora, venitemi a raccontare che vi interessa veramente il menù…

[Crediti| Link: Dissapore]