Tre amici toscani under 30, lo chef Matteo Lorenzini, giovane ma già capace di realizzare le aspettative degli sgamatoni che misurano palmo palmo la penisola a caccia di locali esemplari, Ilaria di Marzio e Tommaso Verni, aprono Le Tre Lune, un piccolo ristorante a Travalle di Calenzano, fuori Firenze, e anche dalle zone ben frequentate della città.
Particolare significativo: con solo 3 mila euro a testa d’investimento.
Scoperto e apertamente decantato dalla critica, il piccolo ristorante stabilisce subito un record invidiabile: stella Michelin conquistata a soli 17 mesi dall’apertura, oltre all’inserimento dello chef giovanotto tra le migliori promesse della guida ai ristoranti L’Espresso.
Dopo di che le Tre Lune chiude precipitosamente.
All’inizio per ferie, ma dopo che i pettegolezzi su difficoltà economiche e incomprensioni tra i soci si erano diffuse, la situazione appare chiara: Le Tre Lune non riapre.
Tutti dispiaciuti, va da sé, ma per Lorenzini si profila subito un nuovo percorso, prima a Milano nella brigata del Mandarin Oriental come secondo dello chef Antonio Guida, poi di nuovo a Firenze dall’autunno 2015 con il ruolo di executive chef del Se.sto on Arno, ristorante all’ultimo piano dell’hotel Westin Excelsior, dove si è conclusa da poco l’esperienza della chef Entiana Osmenzeza (per i maniaci passata poi alla guida del Gurdulù).
Finora per il ristorante le iperboli si sono sprecate, specie per la cucina del nostro che “spazia, si apre, evolve” dall’Italia al Mediterraneo, con citazioni francesi e ricerca di sapori dall’Asia.
Le aspettative sono alte: riuscirà lo chef a soddisfarle?
Con altri palati allenati prenotiamo il tavolo alle 21.00 di un giovedì sera, anche per chi è assuefatto al fascino di Firenze l’appuntamento all’ora dell’aperitivo con vista sul tramonto dal sesto piano del Westin, terrazza “dall’architettura avveniristica” è una tentazione forte.
Accolti e guidati al tavolo ordiniamo un gin tonic che accompagni il calare del sole ma incontriamo qualche difficoltà col servizio, abbastanza indeciso, tanto che ad alcuni l’agognata bevanda pre-cena arriva insieme all’antipasto.
Optiamo per il menù “Carta Bianca” composto da sette portate selezionate dallo chef: ebbene si, libero sfogo alla curiosità per la sua cucina.
Intoppo sull’aperitivo dimenticato al primo piatto: le cappelunghe, agrumate in marinara tiepida, cipolle nuove e finferli catturano tutta la nostra attenzione.
I molluschi, una parte “spaventati sul fuoco” (non un nostro copyright purtroppo, ma dello chef) e gli altri arrotolati a forma di salsicciotti poi cotti in consommé, sono ordinati sulla conchiglia in equilibrio con la marinata allo yuzu, piccolo agrume giapponese dai toni acidi che piace tanto ai super cuochi, e succo di lime.
Un piatto originale e anti-calura che fa calare il silenzio sul tavolo per qualche secondo: bocca piena e godimento per l’armonia fra acidità e dolcezza dell’antipasto.
Continuiamo con altre due portate di mare, che replicano la magia della cucina estrosa e arrembante di Lorenzini.
Il granchio, servito al centro del suo carapace con mela verde, rape bianche, coriandolo fresco e spuma di yogurt è cremoso e gentile.
Con le ostriche invece, glassate e accompagnate da porri e bardiccio, un tipico insaccato toscano, lo scontro fra titani del sapore si fa serio: due alimenti della stessa famiglia “o li ami o li odi” combinati con mestiere nello stesso piatto.
Sentenza del tavolo: pienamente approvato.
Un nuovo incontro tra “carne e pesce” anche per la pappardelle, arrolate, ripiene di salmì toscano e polpo arrostito. Spolverate in un boccone. A dimostrazione che l’iscrizione del tavolo al fan club dello chef è imminente.
Segue l’astice, con purea di pesche e topinambur, l’unica portata che ci ha fatto storcere il naso per la prevalenza della nota dolce.
Menzione finale per il filetto di vitella: rassicurante, tenero e cotto ad hoc, con carciofi e finferli.
Gradito anche il pane in tutte le versioni (grissino, focaccia, casereccio e ai cereali), riesco solo ad assaggiare il mascarpone con fragoline e salsa al rabarbaro, buono, come la piccola pasticceria e il caffè servito in terrazza.
Il conto, come la cena, è di quelli che non si dimenticano facilmente: 110 euro a testa, esclusi i vini.
Chiaro che in assoluto non sono pochi, ma il punto è sempre quello, che per noi la spesa valga ciò che è stato preparato, cucinato, servito. E da questo punto di vista su Matteo Lorenzini non ci sono dubbi.
Anzi, incuriositi e divertiti dall’idea di una nuova esperienza fuori dall’ordinario la promessa, usciti dalla lussuosa hall, è di tornare appena possibile a sperimentare gli altri piatti.
Per quel che mi riguarda, programmerei un’altra visita anche solo per ordinare doppia porzione di cappelunghe.