Settecentosettantacinquemila euro all’anno. Questo il rispettabile fatturato medio di un ristorante stellato in Italia.
E per quanto la percentuale dei guadagni netti, una volta detratti i costi, spesso non arrivi alla doppia cifra, si parla comunque di numeri significativi.
Questo è quanto emerso da una ricerca della società Jfc, che ha analizzato 50 bilanci di ristoranti stellati e intervistato 60 chef, per capire quanto possa valere l’agognata stella Michelin.
Il fatturato medio dei 334 ristoranti stellati italiani è risultato superiore ai 700.000 euro, con una spesa di 112 euro a pasto e 6300 pasti serviti nell’arco di un anno.
La prima stella porta a un incremento dei ricavi del 53,2%, con un fatturato medio di 708.000 euro.
Il beneficio per la seconda stella è invece parecchio minore, ovvero del 18,7 per cento, con 1,12 milioni di ricavi medi, e del 25,6 per cento per i locali a tre stelle , con un fatturato medio di 1,54 milioni.
I ricavi medi di un ristorante di buon livello ma privo di stelle è stato stimato in 651.000 euro, all’incirca (solo) 120.000 euro in meno dei più blasonati concorrenti stellati.
Numeri quasi “da paura”, se il boom italiano di ristoranti, bar e pizzerie viene analizzato valutando poi le singole città.
A Bologna, nel 2011, bar e ristoranti erano 471, mentre nel 2016 sono praticamente raddoppiati, arrivando al numero di 931. Lo stesso dicasi per i dehors, passati dai 151 del 2013 ai 512 del 2016.
Milano, secondo i dati Unioncamere, ha fatto invece registrare un incremento delle attività nel settore della ristorazione del 41% dal 2012 a oggi.
Anche Firenze è ben instradata nel business alimentare, con i suoi 1634 ristoranti e 1547 bar.
E lo stesso dicasi per Napoli, con 2942 bar e 2441 ristoranti, aumentati del 40% nel giro di soli cinque anni.
Città dove si mangia ovunque e comunque, dove ci sono vie dove quasi non si riesce a camminare in quanto ogni metro quadrato è occupato da un tavolino, anzi due.
Sempre secondo i dati Unioncamere, dal 2011 al 2015 anni bar e ristoranti sono aumentati, a livello nazionale, di circa il 10%.
Il rovescio della medaglia è che tra le imprese nate nel 2011, 3 su 4 hanno chiuso i battenti entro i primi 5 anni anni, e questo non solo per un eccesso di offerta nel settore.
E questo lato della medaglia è fatto di improvvisazione e mancanza di professionalità, una realtà con cui, presto o tardi, si dovranno fare i conti, in quanto il rischio collasso è dietro l’angolo.
“Con il boom del turismo, tanti si inventano osti e cuochi. Esiste davvero un pericolo di crollo – dice Luca Dondi, amministratore delegato di Nomisma, società di consulenza economica.
“La concorrenza va bene, ma quando qualcuno offre centomila euro per subentrare in un locale in affitto, c’è qualcosa che non quadra: non si può avviare un’attività con un fardello così pesante, devi poi drogare i prezzi, per rientrare dell’investimento. Con il rischio di fare cadere tutto il castello, perché il settore è già arrivato a un eccesso di offerta.
“S’investono cifre enormi – conclude Dondi – e il pericolo di crollo adesso è reale”.