Ormai i ristoranti sono come i telefoni cellulari.
Nel senso che, okay, i telefoni cellulari svolgono anche la loro funzione di telefono, ma è una delle tante. Coi cellulari ci fai le foto, registri, fai video, chatti sui social, ordini la pizza con un click, ti fai una chiacchierata con Siri quando proprio non sai cos’altro fare e sì, a volte ti capita anche di telefonare a un amico (in carne e ossa).
Così per i ristoranti. Finiti i tempi in cui andavi al ristorante essenzialmente per mangiare un boccone alla veloce o per gustare un pasto sontuoso.
Finiti in tempi in cui sapevi esattamente cosa aspettarti da un locale dispensatore di cibo, vale a dire tavoli, sedie, quadri imbarazzanti appartenenti alla nota corrente artistica denominata “quadri da ristorante” e –ovviamente– del cibo. Il cibo era l’attrattiva principale, la motivazione delle nostre sortite e delle nostre visite in quei luoghi.
Ora, però, è tutto diverso.
Da quanto si è capito che il cibo è un business gigantesco, in grado di trasformare in oro tutto ciò con cui viene a contatto, ecco che i locali “multifunzione”, come i telefoni, si moltiplicano: gastro-pub, ristomarket, osterie chic, negozi con annessa bottega per la vendita di ogni tipo di bene, dai libri alle tazze, e poi ancora supermercati con annesso punto di ristoro (uno per tutti: Eataly) e via dicendo.
Ormai il cibo si ostenta, si vive, ci fa distinguere dalla massa.
Io sono non tanto ciò che mangio, ma “dove” lo mangio.
Se poi lo mangio in un museo o in un locale con 86 diverse cromie di marmo al pavimento e suppellettili e utensili assolutamente uno diverso dall’altro, come The Gallery, la galleria-brasserie all’interno del ristorante Sketch di Londra che l’artista Martin Creed ha praticamente trasformato in un museo d’arte moderna, allora la funzione gratificatoria dell’accoppiata cibo e arte raggiunge il suo apice.
Orami quasi ci vergogniamo ad uscire semplicemente per mangiare, anzi, degustare come preferiamo dire ora, la nostra vanagloria è soddisfatta se possiamo postare su Facebook o su Twitter le immagini di dove andiamo a mangiare.
APERTI H24
E così crescono i locali alternativi, dove mangiare ma anche dedicarsi ad ogni tipo di altra attività umana, possibilmente artistica e modaiola. Parliamo cioè di locali tipo Nobile Bistrò a Milano o Splendor Parthenopes e Porto Fluviale a Roma, aperti tutto il giorno.
Emanazione di classici come il Cockscomb e il Dose a San Francisco, o il Duck and Waffle di Londra.
RISTOMERCATO TUTTO PER ME
O, sempre rimanendo in Italia, locali come l’antesignano Gusto, a Roma, che da anni oltre ad essere ristorante e pizzeria ha anche uno spazio store, dove comprare tazze e bicchieri oppure libri per gourmet.
Ma anche le nuove corti del gusto come Mercato Metropolitano a Torino, il Mercato di Mezzo a Firenze, Gourmeet a Napoli.
DAL PRODUTTORE AL CONSUMATORE
A Trastevere, da Buff si comprano e consumano – cucinati – i prodotti di un’azienda agricola calabrese e a New York il nuovo Semilla è il simbolo dello slogan “dal produttore ai consumatore”, fiorito negli ultimi anni grazie alla fede bio e agli hipster.
PRANZO IN BOTTEGA
Altro filone molto redditizio sono le risto-botteghe, dalla macelleria Quality chop House a Londra alla Damini & Affini di Arzignano.
IL RASSICAURANTE COMFORT FOOD
Ritorna il piacere dei piatti rassicuranti ma si cala in contesti imprevedibili: Cavoli a merenda, ristorante, caffetteria e scuola di cucina si trova negli appartamenti di un palazzo d’epoca milanese, ) e Roma ha rilanciato l’istituzione del vecchio lattaio con Latteria Trastevere, dove si trova la carne del macellaio star Roberto Liberati.
Ma le coccole per la gola oggi sono dappertutto, anche a L’Ov di Milano.
MENU’ FAI DA TE
Vanno forte anche i locali per un pasto fai da te, su misura, come alla pizzeria Dolce di Roma (anche ristorante, biscottificio, pasticceria, sala da tè), dove ci si può fare la pizza su misura, scegliendo le farine e i condimenti.
STIAMO VICINI VICINI
E’ anche il momento dei mini-locali dove il menu fa dimenticare gli spazi risicati o la condivisione del tavolo sociale. Tra i piccoli indirizzi di richiamo per grandi folle, Oldroyd a Londra (stesso chef del celebrato ristorante Polpo) e in prossimità di Chinatown a New York, Dimes, raffinato ristorante vegano tra i più amati dai salutisti di Manhattan.
Locali intimi dalla cucina curata con sconfinamenti nella cucina fusion, vedi a Milano Pacifico, del peruviano Jaime Pesaque.
CIBO E ARTE
Ma il massimo per la nostra voglia maniacale di ostentazione di cultura e modernità, sono i locali che coniugano cibo e arte, come The Pharmacy 2 a Londra, dove Damien Hirst (esponente della Young British Art) cerca di ripetere il successo della sua prima Pharmacy, locale dove dove si ritrovava tutto il jet set internazionale in fatto di arte.
Ora, nella sua nuova Newport Street Gallery a Londra, si serve delle prestazioni dello chef Mark Hix per cercare di ripetere gli ottimi risultati della prima “farmacia”, e servendo piatti della tradizione inglese, europea e mediterranea, ma soprattutto deliziando il cliente affamato di cultura con la visione delle sue opere.
Altri esempi l’Untitled, il ristorante del museo Whitney di New York, il Rex Whistler della galleria Tate Britain di Londra o il Mudec Restaurant appena aperto dallo chef due stelle Michelin Enrico Bartolini al museo Mudec di Milano.
Perché nell’età dell’abbondanza e dell’apparire il crasso soddisfacimento dei bisogni elementari non ci gratifica più: postare su Facebook la nostra foto davanti a un piatto di succulente tagliatelle al ragù non è trendy.
Meglio farsi un selfie con una elegante tartina in mano e davanti ad una farfalla di Damien Hirst. Per poter dire, e documentare, che “io lì, ci sono stato”. E il cibo, per quanto anche squisito, passa in second’ordine.