Era un po’ che volevo farlo: cuocere il polpo a bassa temperatura. Di più: vedere se fosse possibile realizzare il “pulled polp”, il polpo sfilacciato, parente marino del più celebre pulled pork.
Non avevo intenzione di andare sul barbecue: vivere in città non permette esperimenti che prevedono 8, 12 e più ore di braci accese e relativi fumi. L’alternativa era una cottura lenta, lentissima sul fornello. Ma, complice l’afa, continuavo a rimandare: non mi solleticava più di tanto l’idea di avere una pignatta borbottante e fumante in cucina per mezza giornata.
Finché, negli ultimi tempi, sono entrata in possesso di una Crock Pot, la slow cooker delle meraviglie.
Utensile che mi ha permesso una cottura controllata riducendo non poco l’emissione di calore nell’ambiente – anche perché ho potuto attaccarla a una presa vicino alla finestra aperta.
Nell’ideare la ricetta, come vedrete nel racconto, mi sono trovata davanti ad alcuni dilemmi. Ho cercato di risolverli per raggiungere un risultato tutto sommato discreto. Forse, avrei potuto fare di meglio o diversamente: sono aperta ai suggerimenti, alle idee e agli spunti che vorrete darmi.
Dilemma numero 1: il fondo di cottura
Come forse qualcuno di voi già sa, ho l’abitudine di cuocere il polpo “a secco”, messo in pentola con giusto un filo d’olio: il liquido che emette man mano che la cottura procede è abbondante, così abbondante che non occorre davvero altro.
Però, la mia idea era quella di ottenere, alla fine, un sughetto ristretto. Quindi ho dovuto scartare l’ipotesi di infilare direttamente il polpo nella slow cooker: aveva bisogno di una precottura che gli facesse rilasciare la sua acqua, per poi essere trasferito nella casseruola della Crock Pot con la salsa (ne parlo tra poco) che avrebbe caratterizzato la ricetta.
La soluzione è stata facile: ho passato il polpo (per la precisione, mezzo polpo, circa 400 g di peso) per 10 minuti in pentola a pressione. Un tempo che ha iniziato ad ammorbidire le carni mantenendole comunque ancora abbastanza sode. E, soprattutto, che ha prodotto un abbondante brodetto sul fondo della pentola.
Il polpo l’ho sgocciolato ma no, il brodetto non l’ho gettato.
Dilemma numero 2: la sapidità della salsa
Un’altra cosa si sa: pesce e, soprattutto, molluschi hanno una sapidità naturale piuttosto spiccata. Un problema da porsi quando vogliamo consumarli men che in purezza: qualunque salsa decidiate di aggiungere, gli elementi salati devono essere ridotti al minimo.
Volendo fare un pulled polp la mia salsa doveva avere un’ispirazione “barbecue”. Ho pensato per un attimo a una classica ricetta yankee (la trovate nel già citato post sul pulled pork di Gianfranco Lo Cascio), poi ho cambiato registro e mi sono orientata su gusti asiatici.
La mia salsa è stata preparata frullando uno spicchio d’aglio, un pezzetto di peperoncino fresco, uno di zenzero, una cucchiaiata di salsa cinese Hoisin, un paio di cucchiai di passata di pomodoro casalinga. L’ho diluita con un poco del brodetto di polpo tenuto da parte: non troppo, per non accentuare la salinità.
Ho versato la mia salsa nella casseruola della Crock Pot, ci ho rigirato il polpo e ho dato il via alla cottura vera e propria.
Dilemma numero 3: temperatura e tempo
Le slow cooker hanno due impostazioni di temperatura: low e high.
Sul manuale di istruzioni c’è una tabella di conversione secondo la quale alimenti che, tradizionalmente, cuociono in 30-45 minuti con la funzione low (credo intorno ai 70°) richiedono tempi fra le 6 e le 10 ore, che si dimezzano se si utilizza la funzione high (che ho capito essere di poco inferiore ai 100°).
Io ho scelto di cuocere high per 4 ore, durante le quali ho di tanto in tanto rigirato il polpo e aggiunto poco brodetto o semplice acqua (sempre per evitare un condimento troppo sapido) quando vedevo che il fondo si asciugava.
Dilemma numero 4: pulla?
Ok, “pullare” non è un vero verbo ma una “italianizzazione” del “pull” inglese. Però è quel che esclamano i griller quando esibiscono il loro maiale perfettamente sfilacciato: pulla! Oppure no, se la cottura non è stata a puntino.
In realtà, non si può dire esattamente che il polpo a bassa temperatura si sfilacci. Il problema è nella disposizione delle fibre, che corrono lungo tutto il tentacolo.
Vero è, però, che la consistenza finale è abbastanza tenera da poter spezzettare i tentacoli con due forchette, riducendoli a trancetti e poi disfacendo un poco i singoli pezzetti.
Attenzione: non pensiate che il risultato finale sia stato un polpo stracotto e sfatto. La cottura lenta lo ha ammorbidito più di quelle tradizionali ma – e questo è il bello – lasciandogli un suo nerbo.
Una volta sfilacciato, è ritornato per un certo tempo in casseruola, in modo che tutti i pezzetti potessero insaporirsi nel sughetto.
Dilemma numero 5: come lo mangio?
Il pulled pork finisce nel bun, il soffice panino da hamburger. Io, che in fondo stavo facendo un’altra ricetta, ho optato per un pane arabo basso, anche perché la salsa finale era piuttosto densa.
Ho aggiunto solo un velo di aïoli (una sorta di maionese all’aglio), una spruzzata di succo di limone, insalata e pomodorini.
Il risultato è stato un ricco sandwich, saporito ma equilibrato, con un ripieno per certi versi sorprendente nella texture e nell’abbinamento dei sapori.
Sia ben chiaro: quel che ho voluto illustrare è una tecnica. Chi non fosse dotato di slow cooker può replicarla in un tegame di coccio o di ghisa, con coperchio, posto sul fornello più piccolo tenuto al minimo con spessa retina spargifiamma. Oppure, in forno a vapore, o nella tajine.
Ma sapere che il polpo guadagna da una cottura lenta a bassa temperatura è stata comunque una bella scoperta.