Come accade per tutti i grandi amori, faticherò a trovare le parole adatte per descriverti l’oggetto del mio. Come succede per tutte le ricette perfette, faticherò a trovare le dosi giuste per soddisfare tutti.
E’ colpa mia lo so.
Mi ostino a pensare che non esista né “una” né “la” Polenta. Farine, tradizioni, proporzioni, usi e abusi: la polenta si muove fluida tra le tavole frugali o imbandite.
“Polenta mia, guai se qualcuno parlerà male di te”. Mi è stato diagnosticato un amore viscerale per la polenta gialla, al pari di quello che trabocca dalla citazione di Padre David Maria Turoldo.
Potrei cedere a non velati elogi anche nei confronti della polenta bianca. Sì, mi è difficile nasconderti che sono una polentona. Ma non chiamarmi così. Ti prego. Preferisco che tu mia dia della figlia della polenta, di quella che si taglia col filo.
Tra mille farine
Farro, orzo, miglio o farina di panico, grano saraceno, sorgo, in alcuni casi con farina di castagne: quante ne ha passate la parola polenta prima di perdersi nel mais.
Lui, lo Zea mays, è arrivato verso il Cinquecento dalle nostre parti e non ha faticato molto per imporsi come cibo di base.
Se di polenta di mais devo parlarti, potrei iniziare a farlo dividendo in categorie la polenta. Così ci perderemmo tra polenta bianca, gialla e rossa. Alla prima avvicinerei il pesce, alla seconda tutta la mia vita e alla terza cosa toccherebbe?
La farina di mais Pignoletto Rosso la incontro così di rado, che non vorrei strafare negli abbinamenti. Mi spaventa persino di trovarmi tra le mani la farina di mais grand roux. Slow Food la etichetta come simbolo della cultura basca, la quale ne fa una galette detta taloa, oltre che della polenta.
Dalla blave (??) alla puliszka (???)
Ma se di polenta devo parlarti, preferiscono perdermi tra i dialetti e lingue.
La polenta se ne sbatte i paioli dei confini. Lei è per la pace tra i popoli, più del vino. Mai e poi mai avrebbe perso del tempo a far litigare friulani e ungheresi con la blave e la puliszka. Altro che Friulano e Tokaji (per la cronaca io sto col Tocai forever).
Che tu mi parli di pulenta o di mămăligă, io son felice lo stesso, perché immagino che anche a un marchigiano e a un romeno è concesso il beneficio della polenta. Magari con del formaggio che si scioglie sopra.
Ti concedo anche divagazioni fino ad arrivare alla vicentina polenta e scopeton (ossia polenta con aringa, detta renga, o sardina).
Nelle serate di vento freddo ci troveremo al tavolo con un bel po’ di polenta pasticciata dove strati di polenta si alternano alla carne e persino al formaggio (e chissà a cos’altro). Anche la polenta concia alla valtellinese la proverei volentieri. Sì, ci sono sere in cui ho bisogno di toma.
Giocando quasi a rimpiattino con i luoghi comuni, so che arriverò pure al Sud e so che troverò qualche pronipote della latina pultes.
Ho letto della frascatula. Chi mi finanzia un tour tra Sicilia, Basilicata e Calabria per provare tutte le frascatule di questo mondo?
Per fare la polenta ci vuole…
Italiani popolo di …agricoltori. Lo eravamo e la polenta si faceva tutta a mano, dal chicco al paiolo. Con la scusa che pensavamo alla polenta istantanea! Affaticati e sudati, poveri ma ricchi, incasinati e all’arrembaggio siamo cresciuti con un mestolo di legno che non si fermava mai.
Nessuno attendeva i Re Magi, ma tutti si dedicavano a scussa la blave: sbucciare le pannocchie di mais (blave in Friuli, te l’ho già detto?) e ascoltare i racconti di paura quando neppure Stephen King era nato. Mia nonna è cresciuta così.
I tempi cambiano tanto che la finezza della farina di mais in queste fotografie potrebbe imbarazzare gli amanti della farina gialla bramata, molto più grossa. A dividerci ci sarebbe forse solo il fioretto, una farina di mais a grana media.
Eppure conta anche quanto è grossa, perché c’è fatica nella farina. Mai provato a staccare una pannocchia dallo stocco (il fusto)? Son cavoli belli e buoni.
Sì, per fare la polenta ci vuole…lavoro, niente chiacchiere e distintivo.
Ma non vorrei perdermi nel mio amore viscerale. Ancora non ti ho parlato delle proporzioni.
Metrica della polenta
Che tu la voglia… morbida o tosta tutto dipende dall’acqua e della farina di mais. Non dimenticare il sale, questo è sicuro, ma tutto si gioca tra loro due: acqua e farina.
Io friulana, che taglio la polenta col filo da cucito grosso, abbondo di farina; tu più incline al baccalà con polenta bianca potresti prediligere l’acqua. Non troveremmo mai un accordo neppure con chi si fa il toc in braide e fa rosolare la farina di mais nel burro finché non assume un color nocciola.
Non c’è nulla da fare, la polenta è tradizione e alla tradizione non si comanda. Ognuno è legato alla sua e per me la polenta taragna è altro, al pari dell’upma, la polenta dell’India del Sud.
Non è solo una scusa, questa, per portare acqua al mio mulino con tutti questi termini friulani. Ma il mulino conta, anche perché la farina di polenta andrebbe consumata appena macinata.
C’è chi d’estate la ripone nel frigorifero, perché non disperda il suo sapore. D’inverno è il freddo, invece, a mantenere la farina di mais.
Detto questo, che ricetta perfetta ti do?
Chiedilo a quelli di Dissapore, che io ti scrivo le dosi di Gianni Cosetti, così come le ha trascritte in Vecchia e Nuova Cucina di Carnia. Tanto quello che conta è il procedimento, poi che tu voglia una polenta morbida saprei adattare il rapporto acqua – farina di mais.
Se Gianni Cosetti prediligeva un rapporto di 1 parte di farina di mais per 3,6 d’acqua, la cuoca italiana Anna Dal Conte insegna agli inglesi di arrivare fino a 6 parti d’acqua.
Qualche dritta generale ti è stata data nei 5 errori da evitare con la polenta.
Unico avvertimento: la metrica della polenta è anche fatta di tempo.
“I mariti impazienti…si esercitino alla pazienza e non tirino fuori pretese che la polenta in un quarto d’ora è cotta. Circa tre quarti d’ora” sono necessari, se non addirittura 60 minuti. Questo secondo I consigli di zia Betta, La perfetta padrona di casa, degli anni Cinquanta.
La ricetta perfetta
600 grammi di farina di mais
2,2 litri di acqua
15 grammi di sale
La tradizione vuole un paiolo di rame, persino non stagnato. L’importante per noi, figli della polenta d’oggi, è avere una casseruola antiaderente col fondo spesso. Non male è l’idea di dedicare una pentola alla sola polenta.
Versare l’acqua col sale nel paiolo e portarla a bollore. Alcuni preferiscono, invece, salare l’acqua quando bolle.
La fiamma deve essere forte tanto da far sbuffare l’acqua.
Quando l’acqua bolle, va versata la farina a pioggia.
Cominciare a mescolare subito. All’inizio è molto utile una frusta da cucina che aiuta ad eliminare i grumi. Solo dopo alcuni minuti passare al mestolo.
Mescolare a mano continuamente o comunque a brevissimi intervalli, sempre con il mescolo e sempre nello stesso verso.
La senti la musica della polenta?
Ogni sbuffo vuole dirti qualcosa di diverso. C’è quello sommesso, che ti permette di abbandonare un attimo il mestolo. Non tarda, però, quello più scocciato, che richiama i teneri di cuore a rimescolare il tutto. E poi giunge lo sbuffo irritato che non va per il sottile, urla quasi: “Dai che non si scherza, devi girare la polenta”.
Dopo circa 45-60 minuti la polenta sarà pronta.
A seconda della pentola usata, il fatto che la polenta cominci a staccarsi dalla crosticina che si forma sui bordi del paiolo è un indicatore del suo livello di cottura.
Meno serio il metodo di assaggiare (non tutta) la polenta ancora nel paiolo.
L’esperienza dirà molto sul tempo di cottura. Mi lascio incantare ogni volta dall’evoluzione della velatura del mestolo. All’inizio vedi i grani, ancora belli impettiti, poi diventa una crema invitante, pian piano si rapprende ancora ed ancora fino a sembrare un gioiello dorato prezioso. E, infine, diventa quella che ti sfamerà oggi. L’unica.
E sia. La polenta è pronta.
In Friuli si rovescia la polenta su una tavoletta di legno e dopo alcuni minuti si serve tagliandola col filo a quadrotti (al di là di quello che vedi in fotografia).
Non per modestia, concludo dicendo, che questa polenta non è “La” Polenta, ma “Una” Polenta.