Sento tutto il peso della mia età quando canticchio Samuele Bersani. Quel progetto di esportare la piadina romagnola ha lasciato decisamente il segno.
Non da meno lo hanno fatto quelle piadine (e tigelle e gnocchi fritti) divorate tra Bologna e Rimini. Piatte e semplici, veloci e schiette: fellinianamente felici di essere divorate. Hanno una joie de vivre che non chiede altro che qualche morso.
Neanche in cucina sono pretenziose. E qualche app per scovare le migliori piadine aiuta persino i più pigri. No, non dirmi. Tu vuoi andare in cucina a prepararle nonostante la calura?
Così sia: arriva la ricetta perfetta di Dissapore.
Tra le ricette della piadina
Seguendo lo stesso stile delle piadine, veloce e schietto, vado subito al dunque. Si tratta di un dunque che gira attorno allo strutto. Ancora lui.
Erbazzone e pastiera, pane in cassetta e zeppole non son bastate. C’è chi insiste a tirare fuori dal frigorifero il burro e chi, per concedersi qualche piadina in più, sceglie lo yogurt.
L’erbazzone mi ha convertito allo strutto e dalla mia parte c’è Giovanni Pascoli. Lui lo additò come il cibo nazionale dei Romagnoli.
Non si fermò lì.
Trovò un legame tra il pane di Enea e questo pane povero. Eppure, ne son certa, non voleva essere sfacciato. Per il lui la piada era pane tradizionale che nulla aveva a che vedere con i chioschi della Riviera, ancora da venire.
Chissà quante piade sono state fatte dalla fine del 1371 quando la parola venne scritta su un documento? E chissà quanto tempo è passato dalla prima piadina alla prima citazione scritta?
Non dite a Giovanni che mi avete visto nascondere la ricetta con lo yogurt e l’olio extra vergine d’oliva. In quella ricetta c’è persino del lievito istantaneo al posto del bicarbonato di sodio. Dai non dirglielo. Potrebbe non permettermi più di frangere in pace il pane del lavoro (come ne La Piada).
Ma qui non conto io con le mie ricette, qui conta la piada, detta pieda o pida o persino pié. Lei vuole lo strutto, ma poco bicarbonato ed altrettanto dicasi per il sale.
Chiaramente della farina di grano come la Farina Molino Quaglia Petra tipo 1, partner di Dissapore. Il tutto si amalgama con dell’acqua. Oops, c’è chi preferisce il latte e chi persino il miele. E che dire del vino bianco che aggiungono a Coriano?
Ma alla fine abbiamo già tutti impastato la nostra piada. Sì, la piada è pronta. Cosa resta da fare?
Non resta che andare a Montetiffi.
Testo e piadina
Lo so, vedi doppio nelle fotografie. C’è una tegghia e una padella per crêpe.
Una rappresenta quello che si trova in molte case, l’altra, invece, è il baluardo della tradizione.
Le piadine vanno riscaldate nelle teglie di terracotta che rispondono al nome di testo o tegghia.
Quel che promettono, oltre la poesia, è una cottura più delicata, seppur ugualmente rapida. In cambio chiedono di non essere messe a diretto contatto con la fonte di calore. Al pari delle moderne padelle, devono essere ben calde quando accolgono la piadina.
Certo, la tegghia è fragile rispetto agli urti e agli sbalzi repentini di temperatura. Ma nessuno è perfetto.
Sì, nella mia casa vive una teglia di Montetiffi. Non è appesa al muro e riconosco di avere un timore nell’usarla. Potrei invitarti per sentirne il profumo e la texture, ma so già che stai pensando a come riempire la calda piadina.
Sempre che tu non sappia della piadina fritta d’Imola. Nel qual caso, dimmi tu a cosa ti serve il testo.
Solo squacquerone?
Finora nulla so de Squacquaroni. Dai, dici sul serio?
Quanto ci facciamo belli noi che siamo stati in Romagna. Sorrido della mia perspicacia in fatto di Squaquaron.
E’ un altro dei miti della Romagna questo formaggio di latte vaccino intero, fresco e cremoso, è l’ideale per la piadina. Lo sapevano anche i riuniti al Conclave del 1800. O almeno lo sapeva il cardinale Bellisomi, vescovo di Cesena, che non resistette a fare il suo dovere a Roma senza qualche squacquerone di Romagna.
Un capriccio o una sacra necessità? Basta vedere cosa succede ai ripieni odierni. Qualche fetta di Prosciutto di Parma o della rucola li chiedono oramai solo i più nostalgici.
Gli oltranzisti la vorranno, però, secca. Tranquilli. Ce n’è per tutti i gusti: dai vegani ai gourmet. L’importante è abbondare. Lo richiede la joie de vivre nascosta da questo pane che dire sottile è poco, soprattutto a Ravenna dove lo spessore tende ad alzarsi.
Questioni di s’chiador
Per questa vivacità di sapori, spessori e dimensioni, stavolta lascerei da parte ogni questione lessicale tra piada e piadina. Mica posso sempre fare il cassone della situazione. Nessuno mai crederebbe a me se parlassi come un casòn ripieno di erbette lesse e pesciolini fritti, meglio andare a San Giuliano di Rimini. Solo così evito uno s’chiador in testa.
Il cassone, che è in me, vuole solo che tu sappia che s’chiador altro non è che il mattarello per tirare la sfoglia…della tua piadina.
La ricetta perfetta
650 grammi di Farina Molino Quaglia Petra tipo 1
3 grammi (1 cucchiaino) di bicarbonato di sodio
10 grammi di sale
100 grammi di strutto
260 grammi di acqua tiepida + qualche cucchiaio
Per il ripieno più tradizionale:
Squacquerone
Prosciutto di Parma
Mescolare assieme la Farina Molino Quaglia Petra tipo 1, il bicarbonato ed il sale.
Unire lo strutto e cominciare a lavorare l’impasto.
Versare l’acqua.
Prima con un cucchiaio, poi con le mani, lavorare il tutto.
Aggiungere poca acqua, se serve, per rendere leggermente elastico l’impasto.
Ottenuto un composto omogeneo, dividerlo in 6-10 parti a seconda della grandezza desiderata delle piadine. Una piadina classica pesa circa 180 grammi.
Lasciare riposare gli impasti (non ancora diventati piadina) per 30 minuti circa.
Durante il riposo, porli sul piano di lavoro infarinato e coprirli con un canovaccio.
Dopo il riposo, stendere con un mattarello le piadine fino ad uno spessore di circa di 5 mm.
Riscaldare la teglia.
Cuocere le piadine pochi minuti per lato.
Su ogni piadina calda stendere uno strato di squacquerone ed uno di prosciutto crudo (o altro, a seconda dei gusti).
Piegare a metà e gustarsele calde.