Pubblicata da Solferino28, blog di Corriere.it, e subito letta. La lettera di Stefania Cimini, stagista 28enne che ha raccontato come vive –o meglio sopravvive– con 300 euro al mese. Al di là della retorica di cui è imbottita, situazioni del genere intorno a me ne ho viste molte.
“Con 100 euro faccio la spesa, e quando verso fine mese non ho più nulla in dispensa e devo saltare la cena, vado a letto ancor più arrabbiata per lo stomaco vuoto e per essere costretta a vivere così.
Amici che fanno la spesa al supermercato e guardano solo il cartellino del prezzo, comprando biscotti che costano 20 centesimi in meno, chissenefrega se contengono più conservanti che farina.
“Gli ultimi 100 euro me li tengo per i fine settimana, quando le mie amiche mi chiamano per uscire e io invento scuse rifiutando gli inviti a cenare fuori e centellino le adesioni ai dopocena, nei quali ordino di solito una coca, la cosa meno cara che ci sia sul menù, sperando che i miei compagni di serata non se ne accorgano.”
Amici che non ricordano l’ultima serata trascorsa in un ristorante. Amici che la sera non vanno più neanche al pub, ma dal pachistano sotto casa, che l’alcool lì costa la metà.
E questo perché studiano fuori casa e i genitori faticano a pagare l’affitto delle loro stanze, perché pur laureati e referenziati per capacità ed esperienza non trovano lavoro, o perché pur avendolo, o avendone più d’uno, non arrivano a 800 euro al mese.
Se chiedo loro di leggere Dissapore mi ridono in faccia. Ma di cosa parliamo tutti noi qui? Hamburger che costano più di 3 euro, ristoranti dove non possono permettersi neanche l’antipasto, lunghe discussioni sulla passata di pomodoro che costa un po’ di più però vale fino all’ultimo centesimo? Ma per favore.
Mi sono irritata e non poco leggendo la lettera di Stefania, specialmente per il populismo spicciolo delle accuse alla “generazione precedente che s’ingozza”, o per il panegirico sui “giovani che lentamente si stanno spegnendo”. Ma non sono d’accordo con la maggior parte dei commentatori, o con chi scarica livore e frustrazioni addosso ai giovani. L’hanno invitata ad andare a servizio, le hanno detto che se si è laureata in una facoltà umanistica, pertanto se l’è cercata. E così via, insulto dopo insulto.
So che ogni generazione deve accettare sacrifici mentre studia o si affaccia al mondo del lavoro. So che molti venti-trentenni pretendono un lavoro solo perché hanno una laurea.
Però. Però un tempo ti dicevano che con impegno, preparazione e competenza potevi aspirare a un lavoro a tempo indeterminato, e a uno stipendio dignitoso: il punto ora è che questa possibilità, credetemi, è un eufemismo, non si può dare per scontata. D’accordo, è troppo facile piagnucolare: “siamo la generazione senza futuro, e ce lo avete rubato voi”. Ma di contro, è facile anche rispondere “siete bamboccioni viziati che non hanno voglia di farsi il culo”.
Io 28 anni ancora non li ho, non ho ancora una laurea e vivo in casa con i miei genitori. Riesco a pagarmi da sola vacanze, uscite ed extra barcamenandomi tra mille lavoretti. Sono consapevole di parlare da una posizione privilegiata, posso perfino permettermi di coltivare il gastrofanatismo in erba, pur con le limitazioni del caso. Riesco a cenare in un ristorante, non spesso, faccio una ricognizione mensile da Eataly, quando esco bevo le cose che preferisco, senza macerarmi perché spendo più di 5 euro per una birra.
Però sono spaventata. Sospiro leggendo su Dissapore di ristoranti stellati, sogno futuri viaggi per cantine, spero un giorno di potermi togliere qualche sfizio, di guadagnare abbastanza per coltivare le mie passioni. Ma se quel giorno non arriva? Sono disposta ad andare all’estero, a migliorarmi con master, tirocini e compagnia cantante, ad accettare qualunque lavoro consenta di mantenermi, a fare insomma i sacrifici necessari: ma se non basta?
E se non potessi permettermelo mai questo cavolo di superfluo? Ma più che altro, se non potessi mai permettermi il necessario, la casa, la macchina, la spesa?
[Crediti | Link: Solferino 28, immagine: Vanity Fair]