Ormai i comuni italiani fanno a gara a chi ne butta più. Come un detonatore l’articolo del Corriere sul pane sprecato ha fatto crollare l’argine della decenza. La discussione si è accesa coinvolgendo le alte sfere vaticane. Di cosa stiamo parlando? Rispondiamo ricostruendo i fatti. Tutto inizia lo scorso luglio quando in Inghilterra esce un piccolo libro: “Waste: Uncovering the Global Food Scandal“. L’autore è un giovanotto inglese Tristram Stuart che ha scoperto una verità tremenda: nel mondo si spreca metà del cibo prodotto. Dissapore riprende quelle terribili immagini facendone un post molto discusso, ricordate?
Qualche mese più tardi, l’onda lunga del libro arriva sulla stampa di tutto il mondo, Italia compresa. Si comincia a dibattere, ecco finalmente titoloni e inchieste. Fino all’articolo dell’altro giorno sul Corriere, una bomba piazzata sotto il nostro sedere di consumatori. Tra i primi a usare parole di condanna il presidente della conferenza episcopale Monsignor Bagnasco: “Questo spreco enorme del pane è scandaloso”. Non passa un giorno che la lista dei rei confessi si infoltisce, in prima fila tra gli sprecono ci sono Brescia e la Puglia. Nel frattempo, si ribellano panificatori e fornai, indicati da tutti come i veri colpevoli. Intervengono le associazioni di categoria sollevando dubbi sul pezzo del Corriere, accusato di aver drogato i dati.
Luca Vecchiato, presidente della Federpanificatori dice senza mezzi termini che “lo spreco è inventato”. E smentisce il quotidiano milanese pubblicando dati diversi sul sito dell’associazione. “Se le cifre del Corriere fossero reali, l’Italia getterebbe nella spazzatura 24.000 tonnellate di pane al mese”. Dove sta la verità? Nel sacchetto della spazzatura, ovvio. In entrambi i casi sono numeri forniti dai panifici che non tengono conto della quantità di cibo che finisce nella spazzatura dei milanesi, pane compreso. E nessuno si preoccupa di capire perchè il pane viene buttato via con tanta facilità. Qualche giorno fa abbiamo avanzato un’ipotesi, il pane di Milano fa schifo, diventa duro come pietra poche ore dopo essere uscito dal forno.
Non tutti i lettori erano d’accordo, ma secondo Giuseppe Barile è proprio questo il problema che accorcia la vita del pane italiano. Chi è Barile? È il Presidente del Consorzio Pane DOP di Altamura, uno che di croste e molliche ne ha masticate. Ecco cosa ha detto alla Gazzetta del Mezzoggiorno.
D.: Come è possibile che il pane venga buttato?
R.: «Di sicuro non avviene per il vero pane di Altamura, quello Dop».
D.: Perché ne è così sicuro?
R.:«Semplice, perché il vero pane di Altamura si conserva fresco e buono anche per una settimana, quindi non è possibile sprecarlo».
D.: A che cosa è dovuta questa caratteristica?
R.: «Al lievito madre utilizzato: garantisce la fermentazione batterico-lattica e quindi una lunga conservazione. Il pane “normale” viene invece fatto con il lievito di birra a fermentazione alcolica. Il risultato è che un panino fatto la mattina, al pomeriggio è già duro e non si vende».
D.: Perché non usano tutti il lievito madre?
R.: «Perché ci vogliono non meno di sei ore per far lievitare e cuocere il pane di Altamura. Un panino in un’ora e mezza è già pronto. E’ una bella differenza di tempi e costi».
Una lezione e un’accusa a noi che mangiamo in fretta con gli occhi e il palato chiusi. Che vogliamo il pane a poco perché non diamo più valore al cibo. Eppure, al di là delle parole di Bagnasco, non c’è cosa più sacra del pane.
Riguardatevi la breve intervista al nostro eroe Tristram Stuart, il trentenne integralista ecologico (freegan) che per anni si è nutrito del cibo scartato dai supermercati, e che nei giorni scorsi ha presentato in Italia il suo libro.
Una ventina in tutto i presenti. Molti milioni gli assenti.