Nonostante anni di convivenza — gli anni del Topexan — non bevo più bevande gassate. Sono un comune maschio metropolitano il cui vissuto può evidentemente scontrarsi con una macchinetta dispensa-lattine, ma evito di proposito. Ingrassano, e per soddisfare il bisogno di caffeina bevo un espresso. Impossibile che mi trovi nella situazione di tal Ronald Ball, americano dell’Illinois, che nel 2009 compra una gassosa Mountain Dew della Pepsi facendo una terribile scoperta: nella lattina c’è un topo morto.
Ball (il cui cognome confina pericolosamente con balla, ma lasciamo stare) si sente male e inizia a vomitare. Dopo qualche attimo di stordimento realizza che nella lattina c’è un numero di telefono, chiama per segnalare l’increscioso incidente e un esperto della Pepsi arriva sul posto requisendo il… mmm, corpo del reato.
Ma all’americano dell’Illinois quel sorso di Mountain Dew non è andato giù ( vorrei vedere). Decide di trascinare in tribunale Pepsi chiedendo un risarcimento di 50 mila dollari.
A quel punto arriva la difesa della multinazionale, la più super-speciale difesa di tutte: non saprai mai se stai bevendo un topo!
Pepsi cita la testimonianza del suo esperto secondo cui l’accaduto è impossibile: “se il racconto fosse vero il topo morto si sarebbe sciolto e trasformato in gelatina”.
No aspettate, non credo di aver capito, mi state davvero dicendo che non saprò mai se un topo ha abitato la mia lattina? Sì, insomma, una specie.
Ad accreditare la spiegazione della Pepsi sarebbero i cosiddetti oli vegetali bromurati presenti nella bevanda.
Brevettati come ritardanti di fiamma e proibiti in Europa, sono consentiti in maniera molto limitata negli Stati Uniti e si troverebbero in molte bibite, tra le quali la Fanta e la stessa Mountain Dew. Per cui la difesa di Pepsi avrebbe senso, anche se l’idea del topo morto ridotto in gelatina è ancor più inquietante.
Cioè non sarebbe topo morto ma topo morto in gelatina. Che suona comunque delizioso. Evviva! Beviamo tutti bevande gassate.
[Crediti | Link: Corriere.it, immagine: Gizmodo]