Gli italiani non hanno più voglia di lavorare, ma voi ci credete? E un’altra cosa. Chiamare un libro “L’Italia de noantri. Come siamo diventati tutti meridionali“, non vi sembra un’idea vagamente razzista? A meno che alle nuove star del giornalismo italiano, tipo Aldo Cazzullo, sia concessa qualsivoglia scorrettezza. Per sostenere la sua tesi, l’inviato del Corriere racconta nel suo nuovo libro un episodio accaduto a Vicenza, capoluogo di una provincia che fa un terzo dell’export della Grecia. “Entro al Café Restaurant Nodari, prendo un prosecco al banco. È mezzogiorno, ci sono almeno dodici cameriere. Una è thailandese, molto graziosa. Le altre hanno accenti sudamericani e polacchi. Un romeno, unico maschio, con la maglietta arancione e i guanti di plastica, fa da maître. Dietro la cucina a vista, una nera, un’asiatica e altri cuochi cominciano a preparare baccalà alla vicentina e bigoli con l’anatra”.
Come dire che perfino in una città insospettabile, il turista non trova un solo vicentino che lavori per lui, e in generale, per i servizi fondamentali offerti a chi è di passaggio. Ma è proprio vero che certe cose, inclusa la cucina italiana dei nostri ristoranti, sono ormai in mano agli immigrati?
C’è un altro aspetto che Cazzullo mette in evidenza, secondo lui, logica conseguenza dell’altro. Molte città italiane hanno perso identità. “Locali appena aperti con i tavolini fuori, la musica jazz a tutto volume, il pesce crudo che è un po’ il nuovo piatto nazionale, scampi e gamberi semoventi su letti di ghiaccio anche in città terragne come questa”.
Siete d’accordo? Forse senza i privilegi di Cazzullo, ma anche a noi capita di viaggiare per l’Italia. Sono queste le cose che vediamo?