G-A-S-T-R-O-F-I-N-A-N-Z-A. Aspettate, mi rendo conto di aver scritto una parola spaventosa, ma la finanza creativa applicata alla tavola ha dato buona prova di sé. Tanto che da poco, il Credito Emiliano ha deciso di erogare prestiti ai suoi clienti accettando come pegno il Parmigiano Reggiano. E’ una storia nata anni fa tra gli appassionati di vino, che acquistano prima, a suon di assegni, il diritto alla bottiglia di Bordeaux che uscirà dalla botte solo tra qualche anno. E’ così che funzionano i future sul vino, scambiati in molti mercati del mondo. Lo stesso vale per il Whisky. Mentre il liquore matura nel rovere qualcuno se lo è già assicurato investendo nei certificati azionari emessi anni prima dalle distillerie scozzesi in crisi di liquidità.
Nel caso del Credito Emiliano, la banca offre alle aziende un prestito a due anni pari all’80% del valore delle forme, che tiene in deposito per il periodo della maturazione, guarda caso, due anni. Questo credito è ossigeno per un settore costretto a immobilizzare il suo capitale, le forme appunto, per un periodo decisamente lungo. Alla scadenza del prestito i caseifici ricevono indietro le forme. Il Credem a vende direttamente il prodotto in caso di morosità, riducendo al minimo il suo rischio.
In Emilia, gli esperimenti di gastrofinanza non si limitano al parmigiano. I ritardi dei titoli derivati sul Prosciutto crudo che la Cariparma sta studiando, è dovuto solo alle difficoltà di stoccaggio e conservazione. Mentre alla Popolare dell’Emilia Romagna spetta il primato del “Credito balsamico”, un prestito con scadenza a 60 mesi per rispettare i tempi lunghi della maturazione sostenuti dai produttori.
Tutte idee che sono piaciute a Gianni Zonin, gran capo dell’azienda Zonin e non a caso, presidente della Banca Popolare di Vicenza. “Lo abbiamo fatto con il formaggio, perché non replicare con il prosciutto e con i vini buoni come il Brunello di Montalcino e il Chianti Classico?” Subito spalleggiato dal ministro dell’agricoltura, Zaia, che ha dato la sua approvazione entusiasta.
Ma si può andare oltre le banche?
I Gruppi di Acquisto Solidale (G.A.S.) sono gruppi di persone che decidono di acquistare prodotti alimentari direttamente da chi li produce. Questo permette risparmi sia alle aziende che spuntano guadagni maggiori, sia ai consumatori che comprano all’ingrosso e senza intermediari.
Domandone. Se alle banche si sostituisse, per dire, la rete dei G.A.S italiani, che ha la forza di pretendere un elevato standard di qualità, non sarebbe più vantaggioso per tutti? In pratica, i soci del G.A.S. comprano la forma di Parmigiano quando è ancora latte, e riscuotono in natura due anni dopo, ognuno per la sua parte. Tutti soddisfatti e liberi da interessi, spread o Euribor.
Possibile? Utopia? I costi organizzativi inciderebbero troppo sul costo finale? Qualcuno l’ha mai fatto?
Suggerimenti del lettore Enrico Marsili.