“Con Twitter sappiamo tutto ma non capiamo più un cazzo”. Questo è stato il cinguettio più ricinguettato dell’ultima edizione del Festival di Giornalismo, appena conclusa a Perugia. La frase è di Vittorio Zucconi, giornalista di La Repubblica. A farla rimbalzare come una pallina da ping pong impazzita sono stati i “ggiovani”, i ragazzi delle scuole di giornalismo, i freelance autodidatti, i videomaker in erba, insomma i precari del mestiere, quelli che dovrebbero mangiare pane e digitale tutti i giorni. Più della metà dei panel discussion erano incentrati sull’interazione tra piattaforme 2.0 e giornalismo contemporaneo.
Solo che le bocche aperte e le orecchie aguzze io le ho viste durante l’incontro con Ettore Mo, il reporter di guerra del Corriere della Sera, che ricordava i suoi diari dall’Afghanistan o quando Fabrizio Gatti, giornalista spesso sotto copertura per L’Espresso, raccontava dei suoi travestimenti per “smascherare” le ingiustizie contro gli immigrati chiusi nei CPT. Gli applausi a scena aperta a Jonathan Tasini, l’uomo che ha mandato a quel paese Arianna Huffington con una bella class action, li ho sentiti solo io?
E allora mi chiedo “Ma de che stamo a parlà?”.
Parliamo anche di ristoranti e della vecchia lotta tra tradizione e innovazione. A Perugia qualcosa dovevo pur mangiare. Ne visito un paio, dall’opportuna distanza stilistica. Il primo è L’Officina: cucina a vista in stile archeologia post industriale, cuochi giovani e stranieri, proprietario greco trapiantato in Italia, bella frequentazione, album dei vini (carta è riduttivo). Tutto ok pare. Sì, a parte il rumore assordante, le decine di refusi nella lista vini, i nomi infiniti dei piatti del menù, le preparazioni senza nerbo. Un senso di inappagamento ti accompagna fuori dal locale. Una sensazione che ho provato anche uscendo dal workshop “Come diventare videogiornalisti” tenuto dal redattore del Tg Com 24 Stefano La Manca. Alla domanda quale piattaforma di montaggio usare, la risposta è stata “I Movie va più che bene”. Eh già, perché nella cultura dell’informazione digitale 2.0 il motto è “meglio prima che meglio”.
E’ come ordinare un hamburger di BISONTE – con una voglia da cibo rock – e ritrovarselo accompagnato da un gelato di senape e da una palla di pasta fillo.
Meno male che poi arriva Maddalena Rostagno e il ricordo del padre Mauro, sociologo e giornalista, ucciso in un agguato mafioso nel 1988. Qualcuno ricorda i suoi servizi per una piccola tv di Trapani, Radio Tele Cine? Mezzi arcaici per contenuti stra-contemporanei, come sottolinea l’amico e collega Enrico Deaglio, l’ex direttore dell’ex più bel settimanale italiano, Diario.
Che la forma non sia per forza il contenuto lo sanno anche all’Osteria a Priori quando ti servono come entrée un piatto di cacio e fave che ti sbucci da te. La zuppa di lenticchie di Castelluccio con olio moraiolo mette di buon umore, come i carciofi violetto abbinati al caprino. Un bel bicchiere di trebbiano spoletino di Collecapretta e via così. Che poi c’ho pure fretta: al Teatro del Pavone ci sono Andrea Vianello, Luisella Costamagna, Diego Bianchi aka Zoro, Corrado Formigli e Gianluigi Paragone che parlano di “Social network e nuovi format della politica in tv”.
Riassunto del talk show live:
“Ma tu lo usi Twitter?”
“Io sì, anche in diretta mentre intervisto gli ospiti”.
“Beh è la stessa cosa degli sms che scorrono nel roll”
“Scherzi? E’ tutta un’altra cosa!”
[Crediti | Immagini: Francesca Ciancio]