Mica per sminuire, ma non è chiaro se ci elettrizza più l’apertura di Eataly New York (vedete voi se è il caso di definirla “l’anti-McDonald’s”), o il fatto che oggi, su Dissapore, è “on air” un editor di nome Oscar, Oscar Farinetti. Di lui dicono che domani farà una cosa importante.
Mi chiamo Oscar Farinetti. Ho 56 anni. Sono piemontese. E domani aprirò Eataly a New York.
La mia generazione ha sempre sognato l’America. Anch’io sin da bambino quando mio padre, comandante partigiano, mi raccontava della Resistenza e degli americani che tanto li avevano aiutati, mentre mia madre la sera mi cantava: “Mamma mia, dammi 100 lire che in America voglio andar…”. Poi l’America per me è diventata Nembo Kid, ve lo ricordate? Il primo Super Man, simbolo di quel paese tanto lontano dove tutto era possibile.
Quando Bruce Springsteen cantava “Born in the Usa” ero già felicemente sposato e giocavo con il mio primo figlio mentre Reagan iniziava il suo secondo mandato presidenziale e le prime televisioni (che iniziavo a vendere all’UniEuro) diffondevano il sogno americano con i telefilm a stelle e strisce. E’ dei primi anni 90 il mio primo viaggio in America. New York, naturalmente.
Sono tornato molte volte da allora (ho anche festeggiato i miei primi 50anni con mia moglie e i miei 3 figli!) ma l’emozione di quando il taxi supera il ponte di Brooklyn e Manhattan ti apre le braccia delle sue avenues è sempre indimenticabile, come la prima sorsata di birra di Delerm. Ora mi trovo a realizzarlo, quel sogno. Entro attraverso le porte vetrate ancora oscurate dell’ingresso di Eataly al numero 200 della quinta strada, all’incrocio con la Broadway, proprio davanti al Flat Iron Building nel cuore di Manhattan e la mente scorre veloce a quando per la prima volta sono entrato con Elda Tessore ed il sindaco di Torino dentro l’ex opificio Carpano, 5 anni or sono.
Era lo stesso sogno, disegnato a brutta copia su un foglio di carta, che raccontavo all’epoca a Sergio Chiamparino: un grande mercato dedicato al meglio della produzione alimentare italiana dove mangiare, comprare e studiare solo cibi e bevande di alta qualità. Nei 5.000 metri quadri di Eataly Ny a poche ore dall’apertura, penso ai 300 ragazzi di Torino che quel sogno l’hanno già realizzato, agli altri 200 ragazzi di Milano, Bologna, Pinerolo, Asti e Tokyo che hanno deciso di seguirmi in quest’avventura. E riconosco lo stesso ardente luccicare negli occhi di questi 300 ragazzi americani che in questo momento riordinano gli scaffali, sistemano l’ultimo pacchetto di pasta di Gragnano, stampano l’etichetta di una bottiglia di Barolo e fremono perché, come me, non vedono l’ora che finalmente le porte domani si aprano e tutto abbia inizio.
Da domani l’America forse conoscerà di più l’Italia e la sue biodiversità agroalimentari regionali, il nostro vero petrolio. Credo fermamente che il Made in Italy si affermi nella varietà territoriale della nostra storia e cultura enogastronomica. Eataly New York vuole anche essere un piccolo contributo affinché ciò accada. Solo a partire da domani lo sapremo. Ma, chi mi conosce, sa quanto sono ottimista. Voglio confessarvi una cosa: adoro i film americani. Sapete perché? Perché gira e rigira hanno sempre un lieto fine!
Perché non c’è niente di sacro, tranne il cibo (italiano…)
Oscar Farinetti, un piemontese a New York
[Immagini: New York Post, Gothamist, Eater New York]