Ci aspettavamo silenzio e facce schifate, in fondo le condizioni esistenziali dei barbuti Carlo Petrini e Guido Barilla sono diverse. Il primo è l’angelo di Slow Food e nostro pensatore ecogastronomico di riferimento, l’altro è l’industria, il più pericoloso “spacciatore internazionale di merendine” in circolazione.
Ad attovagliarli è stata La Stampa con il direttore Mario Calabresi, Dissapore, che dando seguito a una battuta di Barilla, aveva chiesto a Slow Food se sarebbe andato a cena col nemico, si è ritagliato il ruolo di paraninfo. Peccato che l’ambientazione non proprio seducente della trattoria Gatto Nero di Torino, tolga un po’ di tensione erotica all’incontro. Ma voi seguitelo comunque, e diteci una volta per tutte da che parte state: il merendismo rassicurante di Barilla che rivendica i meriti dell’industria, o il piccolo-è-bello-senza-se-e-senza-ma di Petrini?
Industria vs piccoli produttori. L’inizio è soft, ma si capisce che Petrini ha voglia di puntualizzare. Dice Barilla che il grande merito del’industria è di averci dato alimenti comunque salubri con ricette migliorate nell’arco del tempo, a prezzi accettabili. Petrini è d’accordo, ma secondo lui la vera questione è un’altra. I metodi dell’industria hanno mortificato le piccole produzioni, un “disastro” per l’agricoltura. Slow Food non vuole colpevolizzare l’industria ma il “coccio” non va stritolato e la piccola produzione è il vaso di coccio.
La colpa è/non è dell’industria. Barilla, da principio accomodante, sopporta poco le estremizzazioni. Si scalda, rifiuta completamente il ruolo di colpevole, è pronto per l’affondo. “Non è vero che l’industria ha distrutto il piccolo commercio”, al contrario, ha dimostrato una “straordinaria attenzione alla qualità”, e se molti piccoli produttori non ce l’hanno fatta è perché mancavano di competitività. Petrini si difende affermando di non aver mai accusato l’industria, ma l’altro è scatenato, e lo accusa di aver detto cose gravi tipo che l’industria nasconde la verità sulla filiera dei prodotti per vendere di più.
La crisi. Con l’ironia del self made man langarolo che tanto gli invidiamo, Petrini riprende il centro della scena. “Allora dirò che la colpa è di Bajon, come cantava mia nonna”. La sua linea è che le colpe sono tante, “anche i consumatori, cioè noi tutti, facciamo molti errori”. La risposta adeguata alla crisi che viviamo non è incitare a consumare di più. La crisi si affronta 1) Difendendo l’ambiente. 2) Proteggendo la biodiversità (e quindi la diversità culturale dei piccoli produttori). 3) Aumentando la giustizia sociale, non sono i piccoli produttori a influenzare le decisioni europee bensì le multinazionali con delle vere e proprie lobby, e riguardo alla pubblicità, i piccoli non possono permettersi la potenza di fuoco degli altri. 4) Riducendo il guadagno della grande distribuzione (supermercati, grandi magazzini, catene di negozi, cooperative di consumo) “che mangia la torta più grande a scapito sia dei piccoli produttori che delle industrie”.
Il prezzo. Per Barilla quello su la Grande Distribuzione è una specie di assist, ce l’ha in particolare con la corsa al prezzo più basso. “E’ un meccanismo folle perché genera un abbassamento della qualità”. E’ a questo punto che il direttore de La Stampa si ricorda di essere lì per fare delle domande, possibilmente insidiose. “Ma per noi consumatori, che differenza c’è tra un pacco da mezzo chilo di pasta Barilla che compriamo a 90 centesimi e un pacco di fusilli di Gragnano, presidio Slow Food, per cui spendiamo 4 euro?”
La pasta di Gragnano (non) è fatta a mano. Esce fuori l’anima gastrofanatica di Petrini, che si lascia scappare “i fusilli di Gragnano sono lavorati a mano” (si tratta della sua pasta preferita). Ma Barilla non fa sconti: “Sempre che lo siano”. Hem, Barilla io glielo dico, il resto dei lettori lo penserà senza dirglielo, se nella confezione c’è scritto che i fusilli di Gragnano sono fatti a mano dobbiamo crederci o no? Se ne sa di più ci avvisi, eh! Petrini dice che sì, sono fatti a mano, e che se le donne che li lavorano cantassero sarebbero più buoni.
Lo spreco. Per Petrini i prezzi troppo bassi della Grande Distribuzione sono una causa dello spreco, “buttiamo tonnellate di alimenti ogni giorno, li compriamo e poi non li mangiamo”. Qui Barilla parla dei “milioni di euro buttati ogni giorno nel gioco d’azzardo o in altri consumi superflui”, ma a occhio, non sembrano discorsi risolutivi.
Gli Ogm. Sul tema Petrini attacca per non essere attaccato. Si iscrive al campionato mondiali di “maniavanti” e chiede: “Slow Food ha fatto della lotta gli Ogm una sua bandiera, Barilla come vede il problema?” L’altro non dice la cosa che Petrini vorrebbe sentire: “Non li consideriamo di per sé il diavolo”. “Forse la scienza può aiutarci ad affrontare l’incremento della popolazione”. “Non bisogna essere contrari all’innovazione se non corriamo pericoli”. Allora Petrini tuona: “Chiedo il diritto di precauzione”. Rievoca il fenomeno della mucca pazza, esploso 25 anni dopo che si è iniziato ad alimentare i bovini con le farine animali, e cita gli effetti della Green Economy visti in India: “avrebbe dovuto essere una panacea, invece i contadini si suicidano perché che non riescono a pagare i debiti”. Gran finale: La scienza deve dialogare con i contadini senza pensare che la verità stia solo dalla sua parte”.
Conclusioni. Eccoci alla fine dell’epico duello. A poche ore dal secondo Forum internazionale sull’alimentazione e la nutrizione che inizia domani all’Università Bocconi di Milano, dove i due si scontreranno si incontreranno di nuovo, diteci, chi vi ha convinto di più? Meglio le ragioni dell’angelo di Slow Food, o il piglio dello “spacciatore di merendine” vi ha definitivamente conquistati?
[Fonti: La Stampa, Barilla Cfn]