Qualche giorno fa vi abbiamo parlato dell’ossessione dei giapponesi per la pizza napoletana, studiano la preparazione in Italia, imitano le usanze la replicano alla perfezione in Giappone.
Le informazioni provenivano da un articolo pubblicato da Daniel Young, giornalista inglese che abbiamo poco sommessamente criticato per l’idea di pubblicare con l’editore Phaidon una guida sulle migliori pizzerie del mondo.
In particolare dopo aver visitato quella classificata al settimo posto, Mozza, gestita dal dinamico duo Mario Batali / Joe Bastianich a Los Angeles.
Siccome la regola “prima provare poi parlare” è sempre la migliore, abbiamo scelto quattro pizzerie napoletane di Tokyo e siamo andati a provarle di persona.
Mettetevi comodi e con le papille gustative allertate.
L’Antica Pizzeria Da Michele
(Indirizzo Google Maps, Indirizzo su Apple Maps)
Dal 1870 la famiglia Condurro si occupa dell’arte pizzaiola, dal 1930 “L’antica Pizzeria Da Michele” sforna pizze nel quartiere di Forcella a Napoli: circa 1000 al giorno dalle 11 del mattino alle 11 di sera.
All’unica sede italiana si affianca quella di Tokyo –da poco Fukuoka– che propone, come a Napoli, la stessa insegna e lo stesso rigoroso menù composto solo da pizza Margherita e Marinara.
La carta, tuttavia, prevede un’offerta più variegata grazie all’inclusione di antipasti e vini; l’arredamento è maggiormente curato e mentre a Napoli ti invitano a smammare se ti intallei (perdi tempo) dopo aver finito di mangiare, i gestori di questo locale sono decisamente più accomodanti.
Figurarsi se i giapponesi “cacciano” i clienti una volta consumato il pasto, meglio un Seppuku che una richiesta del genere.
Da Michele in salsa nipponica è gestito unicamente da persone autoctone, che ci hanno raccontato di aver studiato presso maestri napoletani; ogni mese, inoltre, un rappresentante della casa madre arriva sul posto per un controllo di qualità.
Nessuno dei presenti alla nostra cena parlava italiano, ma abbiamo riscontrato un buon inglese da parte del pizzaiolo in sala.
Il prezzo di una Marinara è pari a 1400 yen (12 euro e 50 centesimi al cambio attuale), 1550 yen (quasi 14 euro) per la Margherita.
Cifre sconvolgenti per le abitudini napoletane, ma in linea col mercato della pizza in Giappone, considerata un alimento di qualità, gourmet e non per tutte le tasche.
La cottura della pizza è buona e tecnicamente corretta, l’impasto soffice e fragrante con la parte centrale giustamente più sottile; mancano una punta di sale e un po’ di “grinta” nel gusto complessivo, nonostante gli ottimi ingredienti nostrani.
Detto questo, promozione con poche riserve per la regina delle pizze, la Marinara, condita con troppo olio.
Caffè espresso, invece, bocciato su tutta la linea: meglio l’acqua ghiacciata sulle gengive.
Pizzeria Bella Napoli
(Indirizzo Google Maps, Indirizzo su Apple Maps)
Tetsuya Ikeda è un signore giapponese sulla cinquantina che da quattordici anni ha aperto la Pizzeria Bella Napoli nel distretto di Morishita.
Ha studiato italiano a Siena e poi ha vissuto a Napoli, dove si è letteralmente innamorato della città, ha costruito amicizie importanti (anche con Marinella, noto per le sue cravatte) e studiato l’arte della pizza.
Il suo nome era troppo complicato (e poco musicale) per essere pronunciato senza storpiature dai guaglioni di Napoli, per questo motivo lo hanno ribattezzato Michele: senza batter ciglio si è portato in Giappone il nickname affiancandolo al proprio nel biglietto da visita.
L’iconografia del locale rispecchia in pieno l’amore verso Napoli: corni appesi in ogni dove, marmi e piccole sculture importati dalla città partnenopea, un affresco di Sorrento sulla parete, inferriate fatte costruire a Napoli per simulare un balcone, ingredienti originali come il pomodoro San Marzano e la mozzarella di bufala campana, offerta assieme alla mozzarella di bufala giapponese.
E ancora: cottura nel forno a legna, ovviamente, stesura a mano della pizza, chiacchierata al tavolo e limoncello offerto dalla casa.
Il risultato c’è e si vede, ci siamo arricreati a 10.000 km di distanza da casa al netto, anche in questo caso, di un sapore poco incisivo –al punto da farci sospettare che i giapponesi preferiscano mangiare meno condito e salato– ma con una pizza soddisfacente sia alla vista che al tatto.
Anche qui i prezzi sfiorano i quindici euro per una Margherita: alla faccia del babà imbevuto nel rum.
Pizzeria Ca Po Li
(Indirizzo Google Maps, Indirizzo su Apple Maps)
Camminando per le strade di Shinjuku si viene letteralmente assaliti da giganteschi cartelli pubblicitari che illuminano a giorno il quartiere di Tokyo anche nelle notti più profonde.
È il quartiere del Kabukicho, distretto a luci rosse controllato dalla Yakuza, che propone locali per conversare, bere, ricevere massaggi… ma stiamo divagando.
Apochi passi dall’uscita est della stazione ferroviaria si trova è la “Pizzeria Ca Po Li”, che sfoggia all’ ingresso nientemeno che l’insegna dell’Associazione Verace Pizza Napoletana, alla quale, scorgendo il sito ufficiale, aderiscono 64 pizzerie giapponesi.
Il locale dispone di finiture in (finto) legno gradevoli alla vista, prezzi simili alle altre pizzerie per una Margherita (sarà una lobby o semplice studio della concorrenza?) e la solita grande attenzione per le richieste del cliente;.
Il gestore della pizzeria, assieme ad uno dei camerieri, parlava un po’ di italiano e un po’ di inglese, quanto basta per capire e farsi capire.
La pizzaiola prepara pizze più che accettabili, di sicuro superiori a tante pizze napoletane provate in Italia: impasto soffice e fragrante, piacevoli nel gusto con il pomodoro ben cotto.
Non abbiamo immortalato la pizza bianca con prosciutto e rucola, (imperdonabile, lo so). Immaginate una base di pasta con sopra un albero di natale o qualche grammo di erba. Impossibile mangiarla senza scartarne oltre la metà o essere attorniati da ruminanti affamati.
Pizzeria da Peppe Napoli sta’ ca’’
(Indirizzo Google Maps, Indirizzo su Apple Maps)
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Forse non tutti sanno che… entrando nei locali giapponesi si viene spesso accolti da una serie ripetuta di urla. Niente paura, sono il benvenuto da parte dello staff presente in sala.
L’esclamazione più frequente è “Irasshaimase!!!”, che suona tipo “benvenuto nel nostro locale, per favore entrate”. Se vi aggirate però dalle parti di Kamiyacho, vicino Roppongi, vi può capitare di sentire invece un ben più familiare “Buonasera!!!” detto indistintamente da italiani e giapponesi.
Si tratta della pizzeria “da Peppe Napoli sta’ ca’’” –sta qua in dialetto–, che il prossimo ottobre festeggerà cinque anni di presenza sul suolo giapponese. È stata fondata da Giuseppe Errichiello, il quale ha poi proseguito con una seconda pizzeria lasciando al fratello Carlo il timone di quella che abbiamo visitato.
La maggior parte degli ingredienti proviene da Napoli, compresa la ricotta, solitamente due volte a settimana; la pasta viene fatta lievitare al massimo per 24 ore, nel menu ci sono tutti i grandi classici della pizzeria napoletana.
Una Margherita costa 1800 yen, al cambio circa 16 euro, un Ripieno 2300 yen, 20 euro tondi tondi.
Abbiamo chiesto a Carlo qual è il suo guadagno effettivo, ci ha risposto che si aggira attorno al 30-35% di ogni pizza, mentre il resto serve a coprire i costi delle materie prime importate e quelli del personale.
La pizzeria aderisce all’Associazione Pizzaiuoli Napoletani, che ha lo scopo di rivalutare la figura professionale del pizzaiuolo, e tra i vari eventi, organizza ogni anno il Napoli Pizza Village.
Ma la pizza com’è?
Buona, ottima se consideriamo che ci troviamo a 10.000 chilometri di distanza dall’Italia: le dimensioni sono adeguate, il cornicione è alto e fragrante, non ci sono bruciature evidenti nella parte inferiore, la pizza risulta gustosa e solo sulla pasta abbiamo qualche riserva, si potrebbero provare lievitazioni più lunghe.
Lo avete già notato dalle foto, ma questo locale ha un’ulteriore peculiarità, quella di essere la sede del Club Napoli Nippon – Samurai Azzurri, fondato nel 2013 da Giuseppe e da Hideki Watanabe: a oggi conta circa 800 iscritti dei quali tanti giapponesi, la pizzeria è tappezzata di sciarpe e bandiere che sanciscono l’unione.
Shiota e Paku, rispettivamente addetto alla cucina e alla sala, ribattezzati simpaticamente (!?) Mongolo e Capocchione, hanno il compito di festeggiare eventuali compleanni alla maniera italiana, e di far percepire ai clienti giapponesi il calore dell’accoglienza napoletana.
La serata si è conclusa con un ultimo cliente, veneziano purosangue residente da queste parti, che ha esclamato, testuali parole “Complimenti, migliore di quelle che mangiavo a casa mia”. Ora, Venezia non sarà la patria della buona pizza napoletana, ma insomma, avete capito.
Dopo questa prova quadrupla e le molte informazioni accumulate sulle pizzerie napoletane presenti sul territorio giapponese, possiamo confermare che c’è una grande passione per l’emblema del Made in Italy, assieme a un’attenzione quasi nel riprodurlo alla perfezione, nonostante la distanza dall’Italia.
Sia da parte dei nostri emigranti, che, soprattutto, di alcuni giapponesi che, dopo aver frequentato uno dei tanti corsi professionali, hanno lasciato il cuore a Napoli.
[Crediti | Link: Dissapore | Immagini: Antonio Fucito]