L’idea di aprire uno spazio dove fosse possibile mangiare, comprare e imparare il meglio delle meraviglie gastronomiche italiane non risale a dieci anni fa.
Lo proverebbe un bozzetto datato 11/11/2002 in cui Oscar Farinetti disegnava gli scaffali dei prodotti e alcuni ristoranti, oggi appeso alle pareti del suo ufficio.
Dieci anni fa apriva invece il primo Eataly, al Lingotto di Torino, nell’ex fabbrica Carpano. E mentre leggo i numeri –oggi ce ne sono 37, 22 solo in Italia, con 25 milioni di visitatori l’anno e 5500 persone assunte– mi sembra di vederlo Farinetti, “salumaio” rubizzo e chiacchieratissino, compiaciuto e pronto a quotare Eataly in Borsa. Non quest’anno ma nel 2018, perché ormai “è doveroso che Eataly appartenga un po’ anche agli italiani”.
E mentre dopo Trieste, progetta con i suoi l’avvio del progetto Fico Eataly World a Bologna, e poi Mosca, Los Angeles, Toronto, Parigi e Londra, festeggia l’avventura iniziata il 27 gennaio 2007 con «Piovono Stelle»: evento principale della festa di compleanno, una cena preparata da dieci chef stellati che hanno cucinano i loro piatti nei ristorantini di Eataly al prezzo di 10 euro.
Siamo andati al Lingotto di Torino, insieme ad altre 6.000 persone, armati di carnet (10 piatti + pizza del pizzaiolo napoletano Ciro Salvo e dolce di Luca Montersino –il noto tele-pasticciere–, valore 100 euro) per darvi conto di come sono andate le cose nella più gigantesca cena itinerante mai organizzata.
Prima è andata in scena la conferenza stampa/show, due ore di chiacchiere a porte chiuse con politici, famosi del mondo alimentare e rappresentanti di Slow Food in cui Oscar Farinetti nel ruolo di conduttore, ha snocciolato i numeri di cui sopra.
Siccome li conoscevamo già, grosso modo, ci siamo presto rifugiati tra i nostri amati chef, ovviamente già intenti a spadellare.
Vi sento: contenti per voi, state pensando, ma chi erano questi benedetti 10 chef stellati? Ve li presento subito:
Langaroll di Davide Scabin (Combal.Zero*, Rivoli)
Un biglietto per venire a patti con il commensale, della serie “Questo piatto è sciapo, ma posso spiegarti”.
“Il Langa-roll è senza sale. Mangia prima il roll presentato singolarmente, i restanti 3 salali, a tuo piacere, con l’insalatina marinata”.
Un piatto che ha fatto discretamente epoca al Combal.Zero, il ristorante dello chef di Rivoli, cucinato finalmente per un pubblico ampio come manifesto della cucina originale di Scabin. La Langa sta ovviamente nella carne cruda, resa ancor più irresistibile dall’accostamento col foie gras.
Nota di costume: Davide Scabin è lo chef più richiesto per i selfie, insieme a Massimo Bottura.
Raviolo di Claudio Sadler (Sadler**, Milano)
Di già che siamo al banco salumi e formaggi proviamo il piatto di Claudio Sadler. Fa ridere ma è così: Scabin e Sadler cucinano fianco a fianco, tra parmigiani invecchiati 54 mesi e bresaola di suino, mentre noi capiamo che tra poco nessuno farà più storie riguardo al corretto ordine d’assaggio delle portate.
Meglio guadagnare tempo lasciando entrambi i ticket alla cassa (una unica per i due chef), visto che si sta già formando la fila.
Il “Raviolone al tuorlo d’uovo glassato al Grana Padano e profumato al tartufo” è il piatto più richiesto della serata, dopo quello di Bottura, ovviamente. La voce sulla sua bontà si è sparsa in fretta. Ripieno di spinaci pressoché sconditi insaporiti con l’umami (in giapponese: “saporito”) del Grana. L’uovo dilaga nel piatto non appena spezzato il cofanetto di pasta.
Spezzare, oddio, il coltello non è previsto tra le suppellettili: solo forchetta e cucchiaio, cosa che provoca scene divertenti tra i commensali.
Zuppetta di Gennaro Esposito (Torre del Saracino**, Vico Equense, NA)
Zuppetta di olive nocellara e mandorle, purea di finocchi e pesce bandiera, per l’esattezza. Se c’è una cosa che rende i piatti di Esposito subito riconoscibili sono i colori: belli, nitidi, solari. Anche l’impiego del pesce povero farcito con raffinatezza e magistralmente impanato, è tipico dello chef di Vico Equense, intercettato in zona verdure.
Nel complesso sono due bocconi, ma nessuno sembra lamentarsi.
Lasagna di Luigi Taglienti (Lume*, Milano)
Si sono fatte le 20 e la folla, che prima scalpitava per un posto (a sedere) con vista sui propri aristochef preferiti, ora sgomita per un centimetro qualunque. Noi issiamo bandiera bianca esausti, appoggiando la “Lasagna al pesto e mela verde” tra i cespi di insalata. Delicatissima, cuore tenero e un’involucro di pasta lievemente croccante dall’aspetto caramellato.
Notevole davvero, ma la fase di training autogeno per affrontare “la coda più lunga del 2017” ormai è iniziata. Non c’è tempo di pensare ad altro.
Tortellini di Massimo Bottura (Osteria Francescana***, Modena)
Ad accompagnare “Compromesso storico”, il celeberrimo tortellino in brodo di panna, è un Oscar Farinetti in brodo di giuggiole. “Ce l’abbiamo noi, il cuoco migliore del mondo!”, esclama mr.Eataly, come se nessuno se ne fosse accorto, come se le trecentocinquanta comande già preparate dal divo a tre stelle (Michelin) non fossero abbastanza.
Bottura impiatta, autografa, provoca i torinesi: “Altro che plin” (alludendo ai sabaudi agnolotti). Poi indica ai primi della fila il gesto da fare col polso per ottenere il meglio dal piatto: “Dal basso verso l’alto, col cucchiaio”.
L’eresia rispetto alla tradizione sta nella panna col tortellino, che il sapido del brodo insaporisce creando l’effetto assuefazione. Resta miracoloso e in apparenza inspiegabile il perfetto amalgama tra i due liquidi: ma Bottura come fa?
Rassegnati al fatto che da ora in poi troveremo mediocre qualsivoglia piatto di tortellini, ci spostiamo verso la postazione dedicata ai primi piatti.
Tortello di Alessandro Negrini e Fabio Pisani (Il luogo di Aimo e Nadia**, Milano)
Bravi a prescindere, per aver compiaciuto un pubblico numeroso pur condividendo la postazione con la superstar Bottura. Sarà perché “Omaggio a Milano”, tortelli farciti di ossobuco di Fassone e midollo nel suo ristretto allo zafferano sardo e parmigiano Bonati, era una vera goduria.
Maestri nella cucina delle carni, in particolare nei ristretti, Negrini e Pisani se la sono giocata con quello che forse è il piatto più celebre del menù di Aimo e Nadia.
Impressioni? Ci siamo persi nei ricordi di una cucina antica, quando gli avanzi diventavano ripieno per gli agnolotti della domenica e non si lesinava sulle calorie. Eppure non era un piatto calorico, né tantomeno fatto con gli avanzi. Memorizzati i picchi di sapore da stracotto.
Tonno di Moreno Cedroni (La Madonnina del pescatore**, Senigallia (AN)
Non si smentisce il re del sushi all’italiana, anzi susci, protagonista della versione italiana di Top Chef.
Semplicità e sapore pieno per il suo Tataki di tonno bianco, quinoa agrodolce, brodo leggero di Campari. La quinoa acquista carattere grazie al gusto amaricante del bitter che al contempo smorza la monotonia del tonno appena scottato.
Gli anni passati dai primi esperimenti di Credroni con il sushi non sono pochi, eppure le sue trovate continuano a conquistarci.
‘Sot l’y laisse di Philippe Léveillée (Miramonti l’altro**, Concesio, BS)
Nota di merito per l’impegno dello chef italo-francese, che ha portato al Lingotto l’impiattamento più complesso. Impavido, costruiva decine di piatti contemporaneamente mentre i presenti rivendicavano il proprio posto nella fila, come se per sentire le parole dello chef avessero un paio di cuffie nelle orecchie.
‘Sto l’y laisse (bocconcino di pollo ricavato dall’incavo della scapola, particolarmente prelibato) andava raccolto col cucchiaio nel brodo di spezie, tra lenticchie di Castelluccio, broccolo fiolaro, pomodoro confit e favette.
Minestra di Pino Cuttaia (La Madia**, Licata, AG)
Immaginate il sughetto da libidine sensoriale che si forma in fondo alla pentola delle linguine allo scoglio, ci siete? Ora fate conto di averne una ciotola.
L’effetto della “Minestra di crostacei” di Cuttaia e su per giù quello lì, anche se alcuni habitué convengono che nel suo ristorante viene preparata con più gamberi. Nel nostro piatto invece facevano un po’ il verso alla bollicina di sodio negli spot di acqua Lete.
Merluzzo di Roberto ed Enrico Cerea (Da Vittorio, Brusaporto***, BG)
Abbiamo consegnato l’ultimo ticket alle 22, dopo aver fatto assaggiare il gomito ai vicini di fila per tre ore e mezza. Okay, non sono le condizioni migliori per tenere l’appetito allenato ma dovevamo toglierci l’ultimo sfizio.
E cioè provare “Merluzzo all’Amatrice con polenta bianca” dei fratelli Cerea, che devono le loro proverbiali tre stelle Michelin anche all’abilità mostrata nel cucinare il baccalà dell’Alaska.
La polenta sta sul fondo, lieve lieve, a stemperare la speziatura del sugo. Un piatto caldo, nel senso figurato del termine.
Cari voi che in futuro diventerete investitori di Eataly, è stata una cena di compleanno abbastanza movimentata. #Sapevatelo.