“Non ci è rimasto assolutamente nulla, abbiamo perso tutto, ci servono acqua e recinti per gli animali”. Questo l’accorato appello di Valentina Fausti, che produce ottimi salumi di Norcia.
Sotto le macerie del terremoto che ha devastato nuovamente il centro Italia, Valentina ha visto letteralmente frantumarsi il lavoro di una vita.
Ora, sotto quelle macerie, è rimasto il frutto della sua fatica, di Valentina come di altri norcini umbri, e la produzione stessa dei rinomati salumi è messa in ginocchio dai danni ai locali e alle strutture causati dal sisma.
Ammontano ad almeno 2 milioni di euro quelli subiti da Valentina, che ora sta cercando di vendere 200 cosce del suo prosciutto, il maiale brado di Norcia, nel minor tempo possibile. Ogni coscia, con piccole variazioni che dipendono dal peso, costa circa 300 €.
Sta anche cercando un ricovero per i 400 maiali che possiede, a rischio di essere attaccati dai lupi. “Abbiamo perso il recinto e non ho l’acqua per i maiali”, ha detto ai giornalisti: “Facciamo uno tra i prosciutti migliori del mondo e nessuno ci aiuta.”
I prosciutti e i salumi di Norcia, detti anche “norcineria”, conosciuti e apprezzati in tutto il mondo per la loro genuinità, sono frutto del lavoro dei “norcini”, categoria cui Valentina appartiene, che ancora oggi lavorano le carni del maiale con le antiche tecniche che già gli scrittori latini Varrone e Columella hanno descritto nei loro libri.
Tecniche che fanno del “norcino” una figura unica e insostituibile nel processo di lavorazione dei prosciutti.
E’ il norcino infatti che si occupa di abbattere il maiale e di lavorarne scrupolosamente le carni, con gesti antichi, con mestiere ed esperienza, fino ad arrivare ai celebri prosciutti di Norcia che, come quelli di Valentina, sono arrivati a soddisfare i palati di Barack Obama alla Casa Bianca.
Prosciutti che devono la fragranza anche a una “materia prima” di qualità superiore: i maiali di Valentina Fausti, ad esempio, pascolano liberi nutrendosi di ghiande e mandorli, si dissetano con acqua sorgiva priva di cloro e crescono in allevamenti situati all’interno del Parco Nazionale dei Monti Sibillini.
E ora, come avvenne con il Parmigiano dopo il sisma in Emilia, per rilanciare l’economia disastrata della Valnerina si moltiplicano le richieste d’acquisto del prosciutto di Norcia e degli altri prodotti tipici della zona, nati proprio dal lavoro dei norcini.
Un lavoro che inizia dall’allevamento.
Diventare un prosciutto di Norcia non è né semplice né immediato, e sia le fasi di lavorazione sia le caratteristiche finali del prodotto devono seguire standard rigorosi, attraverso un procedimento fatto di cura e pazienza, che un tempo avveniva soltanto durante il periodo invernale, per ovvie esigenze di conservazione, mentre oggi, grazie ad ambienti refrigerati e climatizzati, avviene tutto l’anno, assicurando così un livello produttivo costante e il necessario grado di igiene e sicurezza.
La prima fase della lavorazione, ancora oggi effettuata a Norcia come in passato, consiste nell’abbattimento e nella macellazione dell’animale, a opera dello stesso norcino.
Dopo la macellazione, si fanno raffreddare le cosce di maiale a una temperatura compresa tra 1 e 4° per 24 ore, e solo trascorso questo tempo si procede alla fase successiva, quella della rifilatura, che serve per dare alle cosce di maiale la caratteristica forma a pera.
Dopodiché si passa ad una della fasi più importanti dell’intero processo: la salatura.
La salatura, quella che darà aroma e sapore al prodotto finito, si fa impiegando soltanto sale marino e pepe. Si svolge in due fasi distinte. In una prima fase, le cosce di maiale, dopo esser state massaggiate per rendere più morbide le carni e permettere una penetrazione degli aromi più profonda e uniforme, vengono fatte riposare per circa 7 giorni.
Nella seconda fase, trascorsi i sette giorni, le cosce vengono lavate, pressate e nuovamente salate. I prosciutti così salati dovranno restare sotto sale per almeno due settimane, dopodiché verranno sottoposti nuovamente ad una ulteriore dissalatura, e messi ancora a riposare per periodi dai 2 ai 5 mesi.
Trascorso questo periodo, si procede alla stagionatura, che prevede un lavaggio preventivo dei prosciutti, una rapida asciugatura nonché le fasi della “sugnatura” e della “stuccatura”.
La sugnatura è un’altra fase molto importante, in quanto gli strati superficiali del prosciutto vengono protetti spalmandovi sopra un apposito impasto, detto “stucco”, in genere a base di sugna.
La sugna è costituita da un insieme di grasso suino impastato con sale, pepe e farina –spesso farina di riso in modo che il prodotto sia adatto anche agli intolleranti al glutine del grano– e ha la funzione sia di proteggere il prosciutto dagli agenti esterni e dagli insetti, sia di conservare la morbidezza interna delle carni, impedendone l’eccessivo disseccamento.
Operazione che, in caso di necessità, può anche essere ripetuta più volte durante il processo di lavorazione.
Con la stuccatura finale, invece, vengono protette le parti muscolari esposte, prive cioè della protezione della cotenna, sempre generalmente con un composto a base di sugna e farina.
I prosciutti così trattati vengono infine appesi dai norcini in appositi ambienti adeguatamente climatizzati e con determinate caratteristiche di temperatura e umidità per almeno 12 mesi.
Ma non è finita qui: il prosciutto di Norcia, per essere qualificato tale, deve avere un peso non inferiore a 8,5 chili e, una volta tagliato, deve presentare il caratteristico colore rosso o rosato, emanare il tipico profumo speziato insieme a un gusto sapido ma mai eccessivamente salato.
E alla fine di tutte queste laboriose lavorazioni e verifiche che il prosciutto potrà essere marchiato con la sigla IGP (indicazione geografica protetta).
Solo allora sarà diventato un vero, unico prosciutto di Norcia. Il cui giro d’affari ammonta a un miliardo di euro annuo con 800 mila cosce prodotte. Sono una ventina, invece, le realtà imprenditoriali della zona che fanno capo ad Assindustria, otto di queste sono impegnate proprio nel settore agroalimentare, cresciuto del 50 per cento negli ultimi cinque anni.
A Norcia si trovano circa 200 stalle, mentre si stimano in duemila le mucche e diecimila le pecore.
Proprio per salvaguardare questo patrimonio, ora c’è bisogno di aiuti. Aiuti concreti, tangibili, per permettere a uno dei mestieri più antichi del mondo di sopravvivere e continuare a tenere alto nel mondo il nome della nostra pregiata norcineria.
E sì, anche per poter continuare a deliziarci con gli squisiti, morbidi prosciutti di Norcia.
[AGGIORNAMENTO] qui l’articolo che abbiamo pubblicato in seguito alle vostre richieste di indirizzi e contatti per poter aiutare questi produttori
[Crediti | Link: Guardian, immagini: Repubblica]