Ieri ho onorato la Pasquetta come milioni di italiani: spaparanzato al sole, molle come un gatto. E tra il vociare dei bambini, le pallonate in testa, i panini, le fave e il salame ho avuto un’epifania.
D’un tratto una domanda m’ha attraversato il cervello: ma non è che stiamo esagerando con i ristoranti? Cioè: non è che mangiamo troppo fuori?
Naturalmente parlo di noi viziosi, mica di chi ha difficoltà a mettere assieme pane e companatico: se siete su Dissapore, verosimilmente, il pane non solo l’avete ma scegliete quello col lievito madre e siete in dubbio se farcirlo con culatello o montebore.
Ciò detto: secondo un’indagine della Federazione Italiana Pubblici Esercizi, gli italiani sono l’unico popolo in Europa che nel 2016 è andato a mangiare fuori casa più che nel 2015.
In tutto il Continente si sta tornando tra le mura domestiche, noi le evitiamo sempre più. E’ un bene? E’ un male?
Significa che ci piace la buona cucina, e questo è bello; ma vuol dire anche che prepariamo a casa sempre meno, e questo è brutto (e se poi dimentichiamo come si fa?).
Di pirsona pirsonalmente credo che dovremmo centellinare di più le uscite: mangiare fuoricasa quando ne val la pena, quando non abbiamo voglia di rigovernare, quando non possiamo fare altrimenti.
Ma lo spignattare domestico ha un sacco di virtù: il rito dell’accoglienza, trasmettere affetto ai propri amici tramite quel che gli prepari, far tardi, e –last but not least– spendere un terzo.
Così la tavola tornerebbe a essere quel che deve: un momento divertente e goloso per stare assieme.