Ieri sera Paolo Cognetti ha vinto il Premio Strega con il suo bel romanzo “Le otto montagne”. E questo è su tutti i siti e i giornali odierni.
Quello che invece non tutti sanno è che qualche anno fa il giovane autore milanese ha fatto un’incursione nel cibo, raccontando la gastronomia di New York nel libro “Tutte le mie preghiere guardano verso ovest” (EDT).
Il cibo raccontato dagli scrittori è tutta un’altra cosa. Niente foodporn. Niente tecnicismi da gourmet. Niente lusinghe dei grandi chef.
Il cibo raccontato dagli scrittori –da uno limpido come Cognetti ancor di più– va alla sostanza delle cose. E solo uno scrittore avrebbe potuto raccontare così il piatto simbolo dell’America, l’hamburger:
«Io al diner ci vado per l’hamburger e lo voglio così: con pomodoro, lattuga e cipolla, la senape e non il ketchup, doppio strato di Monterey Jack, un cetriolo in salamoia accanto, contorno di patatine.
Le patate mi ricordano di essere nelle strade degli irlandesi; il cetriolo che New York è una città ebraica; il cheddar che qui gli italiani non sono mai riusciti a importare del buon formaggio.
E poi la carne, naturalmente: la carne è l’America. Per questo deve grondare sangue. O come dettava il ramponiere Stubb al cuoco del Pequod in Moby Dick: “con un amano tieni il filetto di balena, con l’altra gli mostri un carbone acceso, e fatto questo lo puoi servire.”
La cameriera annuisce e segna sul taccuino. Poi mi lascia ad aspettare il mio hamburger davanti alla finestra: fuori c’è aria di pioggia, una ragazza passa con un cane, e da dove mi trovo adesso –a New York e nella vita– l’est è un ricordo da gettarsi alle spalle, tutte le mie preghiere guardano verso ovest.»