Esiste una tradizione in Calabria, una sorta di rito collettivo che si tramanda dal quindicesimo secolo, dai tempi di San Francesco da Paola, e che prende il nome di “ciciariata”
Proprio il santo proveniente da Paola, in provincia di Cosenza, ha infatti dato il via a questo momento di condivisione del cibo con i bisognosi del luogo, oggi trasformato in una grande festa all’aperto, all’insegna dalla fraternità e della condivisione.
E Maida, il luogo in cui il rito si ripete ogni anno, è anche la città dove sono nati Salvatore e Matteo Aloe, proprietari della catena di pizzerie Berberè, in Italia (che dopo Castelmaggiore, Bologna, Firenze, Torino e Milano ha aperto da pochi giorni a Roma), come della pizzeria Radio Alice, a Londra, in Hoxton Square.
E ora, i fratelli Aloe vogliono esportare la ciciariata a Londra.
Ma di cosa stiamo parlando, esattamente, quando diciamo “ciciariata”?
Dal nome possiamo solamente intuire con che cosa abbiamo a che fare: i ceci, o “cici”, nel dialetto locale; ma per avere maggiori notizie in merito possiamo rifarci a quanto riferito dal Guardian: una reporter del quotidiano inglese è stata infatti a Maida proprio per capire come si svolga esattamente una ciciariata.
Ogni anno, la comunità della cittadina calabrese si riunisce all’aperto, e enormi pentole di ferro vengono posizionate su grandi fuochi, dove stazioneranno per dodici ore prima che una folla festosa, e soprattutto affamata, le prenda d’assalto, ognuno armato di pentola o contenitore per ricevere la propria razione di cibo.
Dopo cinque secoli, la ciciariata orginale è parecchio cresciuta, e il momento caritatevole ideato da San Francesco da Paola è diventato convivio e festa per tutti, con campane che suonano, odore di fumo e legno mischiato a quello degli olivi e dei limoni.
Bande di bimbi con le trombe accolgono i visitatori, mentre banchetti di ambulanti che vendono ogni sorta di oggetto, dalle bambole alle cinture, invadono la campagna.
Ma la ciciariata non è soltanto tradizione, ma anche un rito slow, che inizia già dalla mezzanotte precedente la giornata di festa: è a quell’ora, infatti, che 240 chili di ceci vengono messi a cuocere sul fuoco nelle “coddare”, i pesanti pentoloni in rame dove il cibo acquista un retrogusto difficile da replicare diversamente.
Poi, alle 3 del mattino, si aggiungono 200 chili di pomodori, alle cinque il finocchietto selvatico e l’origano dei campi circostanti e alle 10 e mezza del mattino, finalmente, vengono buttati 6 quintali di pasta.
A mezzogiorno, dopo la rimescolata finale, la ciciariata è pronta per essere servita a 2000 persone affamate, tutte armate delle loro personali teglie, unite in un fragore gioioso e tamburellante e destinate a raccogliere la propria parte di cibo.
I preti benedicono con acqua benedetta i pentoloni ricolmi di pasta, non disdegnando qualche selfie con i visitatori.
E’ una festa di sapore antico, di condivisione, di voglia di stare insieme, di uomini che attizzano il fuoco, di profumi e sapori della Calabria, in genere conclusa sedendo sull’erba delle collinette circostanti per mangiare tutti dalla stessa pentola, ognuno col suo cucchiaio, responsabilmente portato da casa. Un pic-nic vecchio stile, con casseruole e vino fatto in casa.
E ora, i fratelli Aloe vogliono portare la festa anche a Londra, magari con i guidatori dei tipici taxi neri, i black cab, che rovesciano la pasta in grandi secchi da muratore, mentre flemmatici ragazzini osservano il crepitio delle fiamme.
[Crediti | Link: The Guardian]