L’accostamento del termine “gourmet” a un prodotto popolare m’ha sempre dato l’orticaria.
L’hamburger gourmet.
La pizza gourmet.
Il panino gourmet.
Il supplì gourmet.
Lo street food gourmet.
La polenta gourmet.
Mi è sempre sembrato un modo per drogare il prezzo, per far pagare 15 euro una cosa per cui si era abituati a sborsarne tre.
Ma sbagliavo.
Pensiero Unico Blendiano: fare in casa l’impudico hamburger gourmet
Cioè: un po’ avevo ragione –in tanti ci hanno marciato, facendo lievitare le tariffe più di un panettone– ma un po’ ero in errore. Perché la “gourmettizzazione” di tanti, semplici prodotti quotidiani è stata anche una sacrosanta reazione. Una ribellione alla spazzatura che troppo spesso viene utilizzata in tanti esercizi.
Provate a entrare in una pizzeria anonima nell’anno del signore 2017, dopo trent’anni di battaglie: vogliamo parlare della qualità del pomodoro? Della mozzarella?
Prendete un toast in un bar: è formaggio quello che c’è dentro? E’ prosciutto? O è, il più delle volte, spazzatura?
Meno male, allora, che qualcuno ha reagito, dimostrando che l’hamburger poteva essere di carne buona e non di macinato di scarto di provenienza incerta.
Dopo questa presa di consapevolezza, allora, è finalmente il momento di trovare la via di mezzo. Cioè tra il cibo spazzatura e quello gourmet c’è una terza via, quella che mi piace di più: il cibo fatto bene.
La pizza gourmet fatta in casa
Il prosciutto non è rumenta ma nemmeno cotto al forno a 3000 metri: è semplicemente un buon prosciutto.
Il pomodoro non è zeppo di veleni ma nemmeno del Piennolo raccolto con i guanti, è semplicemente un buon pomodoro.
Il formaggio non è plastica fusa ma nemmeno fontina d’alpeggio del fenomenale malgaro Sandrino, è semplicemente una buona toma.
Tra il junk e il gourmet, c’è il “fatto bene”: più costoso del primo, molto meno del secondo. Cose buone per tutti: la sfida più difficile.