Sarò onesto: non ricordo di aver mai mangiato un dattero di mare, da bambino. Da quando ho memoria son sempre stati proibiti e giravano leggende d’ogni sorta, come quella di una banda di pugliesi che di notte staccava interi scogli per caricarseli sulla Panda 4X4, portarseli in garage e poi scolpirli al sicuro dalle forze dell’ordine.
Li ho poi assaggiati una volta, già adulto, offertimi da un ristoratore che mi ha detto che lui poteva averli per questo, quest’altro e quell’altro motivo. Va a sapere.
In ogni caso: una cosa squisita. Giustamente proibita, ma ugualmente squisita.
Mi ricordo invece benissimo i bianchetti, gianchetti come li chiamiamo noi in Liguria: il meraviglioso novellame che mangiavamo bollito con un filo d’olio e limone, in frittata, in frittelle…
Che meraviglia: con la testa scrocchiarella, la pasta morbida, il gusto dolce. Ora son vietati. Dicono: comprate i rossetti. Non è la stessa cosa.
Ricordo anche il dramma di quando, a causa della mucca pazza, travolti dalla psicosi collettiva, s’è vietato tutto il quinto quarto: niente più cervella, niente più ossobuco, niente più finanziera… Lì davvero ho tremato: poi, grazie a dio, l’affaire è rientrato e oggi ne mangio il doppio per recuperar ciò che ho perduto.
Quello che voglio dire è che le ragioni sono molte –il rischio di distruggere una specie, un’epidemia, una nuova sensibilità, il cambiamento delle norme igienico-sanitarie…– ma il risultato è il medesimo: ci sono cose che non mangiamo più, ci saranno cose che smetteremo di mangiare.
Immagino tra qualche anno finiremo di scottare scaloppine di foie gras, di grattare bottarga sugli spaghetti o di spalmar caviale (in fin dei conti, non sono stragi di innocenti?), di frigger moeche e chissà cos’altro.
Il buon cittadino che alberga nella mia testa, sa che è cosa buona e giusta.
Ma il goloso che abita nella mia pancia, ancora ricorda il gusto del latte caldo, appena munto, in una fattoria piemontese. E se pensa che oggi è proibito berlo, gli vien da piangere.