In Italia i politici mangiano nei posti sbagliati: le cronache giudiziarie li danno al Bolognese di Milano, all’Harry’s Bar di Roma o in altri luoghi in cui vai per sederti vicino a una valletta, non certo per i piatti.
Fanno eccezione Luigi Lusi, ex tesoriere della Margherita, in carcere per aver sottratto 20 milioni dalle casse del partito. Consegnati per l’eternità alla storia delle sbafate gli spaghetti al caviale da 180 euro de la Rosetta di Roma, dietro al Pantheon. Oltre a Pierangelo Daccò, faccendiere milanese in carcere per associazione a delinquere, che nel lussuoso ristorante milanese, Sadler, riesce nell’impresa di spendere 26.582 euro. Ma allora l’invitato di riguardo era nientemeno che Roberto Formigoni, governatore della Lombardia.
Che imparino i piccoli accumulatori di mazzette, privilegi di basso profilo e truffe da poveracci. Imparate dai grandissimi. Lusi e il ticket Daccò/Formigoni hanno buon gusto e sanno godersi la vita, specie a tavola.
Non per fare gli invidiosi ma pure a Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, e Franco Maggi, il suo braccio destro, indagati nelle vicende Falck-Marelli e Serravalle, l’istinto radical-chic si impone.
Quando era candidato alle Regionali per il centrosinistra, Penati si sarebbe fatto ridare dalla fondazione “Fare Metropoli”, uno schermo usato per nascondere i rimborsi, oltre 20 mila euro di spese dal 2009 al 2011. Taxi, alberghi e soprattutto ristoranti. Spese meno esaltanti rispetto ai maestri, ma comunque, ci pare, gastronomicamente rilevanti.
Si va dai dodici euro per una porzione di cozze pelose al Raw Fish Café dalle parti di viale Monza a Milano (due coperti: 164 euro), ai 232 euro in quattro al ristorante di pesce “Al porto” di piazzale Cantore. 250 euro, sempre per quattro, al «Sorrisi e baci» di via Modena. 134 euro a base di pesce al ristorante “Giacomo”, ritrovo radical chic di via Sottocorno. Un pranzo da 63 euro nella centralissima Trattoria Bagutta, cuore del Quadrilatero della moda”.
Poi i soggetti dimostrano la loro apertura democratica (la palestra politica conta) e si pappano pure frugali pranzi di lavoro all’Autogrill di Caponago lungo l’A4 (32,95 in due), o nei bar della stazione Termini.
Altri momenti fondativi a Roma, come un comizio di Borghezio o una strategia politica di D’Alema. E Penati non voleva essere da meno dei suoi celebri colleghi. Tra i locali più gettonati dal duo c’è il ristorante “Sapore di Mare” dietro piazza della Minerva. Carpaccio di pesce, crostacei, due spaghetti alle vongole, quattro ostriche, il tutto innaffiato da due bottiglie di prosecco: 257 euro. ma chi non spende tali cifre suvvia. Oppure l’osteria «Da Mario» di piazza delle Coppelle; “Quirino” di via delle Muratte, l’ottima enoteca “Palatium” di via Frattina.
Infine, l’ossessione italiana per lo scrocco elevato ad arte, prevedeva soste al già menzionato “Dal Bolognese” di piazza del Popolo (220 euro in tre), all’osteria “Ar galletto” di piazza Farnese; alla “Rampa” di Trinità dei Monti (straccetti di manzo, fiori di zucca con pecorino, maialino al forno, 82 euro in tre).
E non si non coglie del tutto il valore gastrofanatico della sfida al sistema se si ignora che dopo il caffè toccava al digestivo. Alla trattoria “Sicilia in bocca” nel quartiere Prati il pranzo si è chiuso con quattro “grappe barrique”: 28 euro.
Ora, ditemi voi: siamo già sotto il segno della crisi, come i ristoratori di un certo livello possono superare la lontananza di Penati? Non carceratelo mai, vi prego, fatelo per loro. Tengono famiglia.
[Crediti | Link: Corriere]