La prima volta non è stato molto divertente*: varcata la soglia del ristorante d’hotel in un dimenticato capoluogo del sud, mi sono ritrovato otto paia d’occhi piantati addosso. Appartenevano a uomini in viaggio d’affari visibilmente in sovrappeso, seduti in otto piccoli tavoli tondi. Da uno. Annoiati, attendevano il loro filetto-con-insalatina nel più angosciante silenzio. Colpito dall’onda anomala della sensazione di sfiga, ho girato i tacchi. Dal mio loculo ho ordianto un minestrone monacale facendo notte con i programmi sportivi via satellite.
Ora indosso la faccia di bronzo e vivo il momento della cena solitaria come un premio per la giornata di duro lavoro. Una buona serata in un buon ristorante aggiusta anche il viaggio più avaro di soddisfazioni. Anzi, capita di considerare la solitudine a tavola una fortunata circostanza. Così posso evitare lunghe e noiose pause di socializzazione tra una foto e l’altra, e scrivere parole difficili da mandare a Bernardi via BMT [Brevi Messaggi di Testo]. Tanto lui non risponderà.
A parte qualche complicazione sul vino, perché da soli anche mezza bottiglia è troppo, ormai ho accantonato gli imbarazzi: meglio soli che male accompagnati. Mai capitato l’amico con problemi alla cistifellea che mangia solo patate lesse e acqua naturale fuori frigo?
Ma io non sono donna e per l’altra metà del cielo potrebbe non essere la stessa cosa. E comunque, a voi piace mangiare da soli al ristorante?
Immagine: Flickr | Utente: Loungerie