Antefatto: l’amico dice, vai lì che anche altri mi hanno detto che si sta bene, e io vado. L’ambiente l’han reso carino, con tutti gli ammennicoli e l’armamentario voluttuario [cit.] a posto. Per la verità poco prima di entrare tutti i campanellini d’allarme hanno iniziato a suonare in coro: la lista delle vivande comprende 10 antipasti di mare e di terra, dieci dodici primi, altrettanti secondi più cinque o sei specialità alla griglia. Argh. La carta dei vini porta etichette commerciali a prezzi commerciali: e capirai se manca il Sassicaia e il Tignanello e il Krug. L’aperitivo offerto è un prosecchino di vascello.
Ordino.
Pani d’ordinanza, e un benvenuto di una certa complessità: crema di zucchine e pralina tartufata con scaglia di tartufo. Evabè. Il burrino a latere è fortemente agliato, quello al tartufo ha prospettive nebulose. Pervengono dei tagliolini “ricci e bottarga di tonno” in cui brillano per la loro assenza i ricci e la bottarga di tonno: si evidenzia invece una cremina opalescente che stiracchia di qua e di là, senza raccontare alcunchè. La zuppa di cipolle è un cremone burroso, gravemente inciso dal sapore di brodo liofilizzato. Mah.
Eppure il cuoco ci si mette d’impegno, lo vedi, te ne accorgi. Segue un carpaccio d’oca con patè di fuagrà, tutto circonvoluto in una nuvola di verdura a julienne fritta, con una certa pretesa di presentazione: e per la verità non male d’aspetto. Però freddo, al limite dell’insofferenza. Segue il petto di fagiano, omesso nella sua fagianità, calmierato e sbiancato. Quelle che trovi poi nel piatto sono castagne secche ammollate e non fresche, come in questa stagione t’aspetteresti. Le patate, rinvenute.
Eppure il ragazzo al tavolo è cortese, lo chef si palesa, chiede la Domanda: “Tutto bene?”. Tu fai un sorriso stiracchiato, e dici il dolce no grazie. Pagherai dieci euri di meno di quello che avresti speso dieci chilometri più in là, dove ricordi benessere, e venti di più della trattoria del nonno.
Ora chiedo a voi che avete un ristorante, vedere scritto a chiare lettere che così non si va da nessuna parte, che la cucina è gravida di errori di grammatica elementare, pensate possa servire a questo volonteroso professionista? Non credete che sia il caso di avvertire il pubblico di cosa lo aspetta? Perchè mi dovrei prendere la briga di scrivere una pagina su un posto dove sconsiglio di andare e dove non vale pena di tornare? Voi che andate al ristorante, che vi frega di sapere che quello è un posto da evitare, non vi basta sapere quelli che invece vanno bene?
Machimoofaffà?
[Immagine dal blog: madreamer.splinder.com]