Alla fine è parso un trappolone architettato ai danni di Maurizio Camagna e Michele Tabozzi, due professionisti dell’immagine dall’occhio tagliente, con la complicità del ns insider Dan Lerner e del volumetrico chef Matteo Fronduti del ristorante Manna, a Milano. In realtà era il Pranzo di gruppo con fotocamera, o almeno così volevamo chiamarlo quando abbiamo chiesto a Matteo il permesso di smitragliare di foto i suoi piatti prima di – e vorrei vedere – spazzolarli. Corifei dell’evento il reprobo editor (Alessandro) Morichetti e un infiltrato che ci ha chiesto di rimanere anonimo. L’obiettivo numero uno era passare due ore tra gurmè. In subordine, noi peones dell’immagine volevamo saperne qualcosa di più della fotografia digitale, dello still life, del fotofood, della vita l’universo e tutto quanto [cit]. Nè gara nè confronti, ma una bella occasione per mettere a fuoco – è il caso di dirlo – l’esperienza di chi vive di immagini e di chi… le mangia. L’unico vincolo era: niente luci, niente set. Solo luce ambientale, camera a mano, niente costumi di scena, niente colonna sonora. Un po’ come il Dogma95 di Lars Von Trier.
Fotocamere ad altissime prestazioni per i professionisti, una mezza vigogna per il Morichetti, due accendisigari che fanno le foto per l’indegno scriba e Dan, ecco le attrezzature. Ci abbiamo dato di piglio, e la prima cosa che si è dimostrata è che fare foto al tavolo con le reflex a medio tele è complicato: gi ESPERTI non hanno saputo resistere alla tentazione di alzarsi, avvoltolarsi attorno ai piatti, qualche volta portarli in giro a cercare il riflesso giusto. Le piccole compatte invece consentono di scattare seduti , e se lo scopo è non farsi notare sono decisamente più consone, dati gli sguardi tra il divertito e il compatito degli altri avventori e del Jefe del ristorante.
Alla fine l’abbiamo capito: se si vogliono prendere immagini di livello superiore bisogna averci il manico ma anche il cesto, fotocamera, spazio e set allestito. Se l’obiettivo è invece quello di riportare un’istante senza troppe fisime, ecco che le moderne compattine digitali a parità di condizioni non è che le prendano di santa ragione. Vero, non c’è quella definizione ma…
Per dire, chiamati a esprimere un giudizio sul piatto classico, avete preferito alla pari una foto professionale e una amatoriale, mentre nel creativo vi è piaciuto di più uno scatto non professionale, homemade.
Non facciamo ordini d’arrivo che non era quello il gioco, ma portiamoci a casa una verità: nelle difficili condizioni di luce del ristorante, se si vuole farsi notare il meno possibile è davvero arduo ottenere risultati accettabili. Ipercritici i professionisti, abituati alla perfezione richiesta dalla fotografia industriale. Siate dunque indulgenti con noi peones della foo-tografia…
Un grazie a Maurizio Camagna e Michele Tabozzi per la disponibilità e simpatia, e a Matteo Fronduti che ha chiuso… tutti e due gli occhi durante il fotobaccanale.
Immagini: il mosaico sopra velo potete indovinare da voi, la foto dello chef è del Camagna