Quando la stampa specializzata paturnia, io faccio finta di capirla. Fino a l’altro ieri su cuochi e mangiatoie avevano l’ultima parola—anzi la sola. Quotidiani, riviste, guide. Oggi, se vuoi sapere cosa capita nella scena italiana devi accendere il computer. Ci ripetiamo, un post alla volta i blog stanno cambiando la critica dei ristoranti. Ma cosa ne pensano i cuochi? Tutto il male possibile (quasi). Se volete toccare con mano, leggete come ha risposto un manipolo di chef alle domande del portale Chef di cucina Magazine. Accusa n.1. Basta con le critiche anonime, l’uso del nickname è da abolire. Accusa n.2. La critica ufficiale basta e avanza, se non avete le credenziali fate silenzio. Accusa n.3. Spesso le fotografie sono brutte, non valorizzano i piatti. Accusa n.4. I blogger non vogliono pagare il conto, o peggio, cercano di vendere servizi.
Okay, queste cose, se volete, le discutiamo nei commenti.
Però, siccome per litigare bisogna essere in due, anche gli errori dei cuochi sono stati molti. Per anni hanno sottovalutato il potenziale dei blog, ignorandoli. Poi hanno iniziato a leggerli, ma di partecipare non se ne parla. Perché con poche eccezioni (Mauro Uliassi su tutti) non li conoscono. Pretendono che siano inoffensivi come certe riviste. Ma i blog funzionano perché sono pieni di difetti. Perché i controlli sono pochi, e la spazzatura è il prezzo da pagare. In cambio sono veri, pulsanti, accessibili a chiunque e capaci di reinventarsi ogni giorno. Finiamola con i giudizi sprezzanti (vedi: Carlo Cracco e Filippo La Mantia), è tempo che i cuochi si accostino ai blog con l’intenzione di capirli. Dovendo convivere, sarebbe ora di avere un rapporto meno difficile.
Per i più pigri, segue riassunto delle risposte di alcuni chef.
Raffaele e Massimiliano Alajmo.
1) «Siamo non blogal!»
Carlo Cracco
1) «No, di solito non consulto mai i blog dedicati al food and wine» (lo slang dello chef consente l’uso di “mai” e “di solito” nello stesso periodo).
2) «Il grosso errore è considerarli fonti indiscusse di giudizi, quando si tratta solo di opinioni personali».
3) «Non dimentichiamo che ci sono tante persone che vogliono solo mettersi in mostra, il modo più semplice è sputare sentenze, molto forti e non sempre realistiche».
4) «Chi li fa non si espone mai in prima persona, ma si cela dietro identità virtuali, che li proteggono dalle responsabilità».
5) «Il blog non deve diventare critica gastronomica, ma limitarsi ad essere un “luogo” in cui ritrovarsi, e scambiare opinioni. La critica lasciamola fare ai professionisti».
6) «Non considero fotografare i piatti al ristorante un’evoluzione positiva. Giudicare un piatto che viene soltanto fotografato è assolutamente riduttivo».
Filippo La Mantia
1) «Ho pensato che relazionarsi con i food blog potesse essere fonte di scambio. Una crescita auspicabile anche con il confronto diretto. Ma la critica per essere tale non deve essere anonima. Nessuno tollera di essere insultato da gente che si copre dietro “nomignoli”».
2) «Ho preso spunto da quello che scrivono e mi sono inserito nelle discussioni che mi riguardavano scoprendo che chi gestiva non pubblicava poi i miei commenti di risposta».
3) «Si insulta gente solo per invidia o per il successo conseguito. Si insulta gente che non appartiene agli stessi ideali politici».
4) «Quello di rubare le immagini è storia vecchia. Ma la cosa più divertente è che fotografano i piatti con macchinette o telefonini scarsi, così da rendere la foto ridicola, piatta e priva di significato gastronomico».
5) «La definirei la sindrome del “critico mancato”».
Heinz Beck
1) «Non li seguo. Comunque il blog dovrebbe essere uno strumento di comunicazione civile non un trash da spettacolo».
2) «Sarebbe doveroso monitorarli, non devono essere un canale per diffamare professionisti nascondendosi dietro l’anonimato».
3) «Se una persona non è soddisfatta di uno chef dovrebbe scrivere un messaggio direttamente all’interessato, che a sua volta risponderà adeguatamente».
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