Seguiamo il nostro ficcanaso gurmè, una sera d’estate, all’ora di cena: si siede al suo posto guardandosi attorno, mescolandosi all’ambiente che potremmo definire di sobria eleganza. Il ristorante di questa sera fa una grande cucina, a tratti grandissima: a volte immensa. Non è posto per lungomaristi spinti, nè per cercatori del molto a poco, nè tantomeno per ruminanti distratti. Guardiamo il nostro uomo apparecchiarsi al suo bel Degustazione di 10 piatti, osserviamolo pregustarne le delizie leggendo e rileggendo i nomi dei piatti a voce bassa, quasi a comprenderne l’essenza.
Si fa tardi: dovremo attendere con lui l’arrivo dei protagonisti della rappresentazione. Ecco che il nostro uomo alza gli occhi dal fiero pasto [cit.] e osserva la coppia varcare la soglia. Sono indubbiamente due esemplari molto belli di essere umano. Lui, barba tagliata corta di tre millimetri che sembra proprio barba selvaggia di un giorno, si trascina il cavallo dei pantaloni e la grossa chiave automobilistica con i quattro cerchi; lei, più giovane, pelle mano pesca, capelli ritirati in un piccolo chignon, trucco leggerissimo e un bra appena visibile sotto la camicetta, cammina ad una spettacolare altezza da terra appesa alla di lui mano.
Si siedono traguardandosi attraverso il tavolo nel centro della terrazza: l’uno in fronte all’altro, ridono alla volta del nostro goloso che segue la sua teoria di piatti. Naturale: ordinano un antipasto lei, un primo lui, un dolce in due. Lei no, l’appetizer non l’abbocca, perchè non le piace l’anguria, dice. Avvertiamo la prima scossa nell’equilibrio del signore seduto da solo al tavolo: guarda smarrito l’ovvia bottiglia con tappo a fungo, le sigarette accese senza troppe attenzioni, tanto siamo all’aperto. Amoreggiano, e passi, armeggiano sul desert nel gioco dei cucchiaini. Si sentono ancora lontani, lui ora si posta al fianco e le si avvicina. Fumano, scambiandosi i fumi.
Non sono ancora abbastanza vicini, lui scosta ancora la sedia e le si siede a fianco. Si guardano e si cercano, si avvicinano, sigillano le loro bocche in baci lunghi ed ostentati. Incuranti del prossimo si producono in lungo e accurato linguinbocca, esponendosi agli sguardi nemmen troppo distanti del nostro viaggiatore e degli altri astanti. Non è cosa di una attimo: anzi, dura di lungo, e la luce pur fioca non lo è abbastanza da privarli di un involontario occhio di bue. Osservate quel signore a due passi di distanza, evidentemente imbarazzato, cincischiare con il suo budino di fegato di merluzzo con ribes dell’amazzonia.
Non sa più dove guardare, e visto che deve guardare lì, lì guarda, guarda le braccia serpentine e gli occhi curvilinei pieni di lunghe ciglia, tumidi. Fortunatamente, non han la pazienza di un caffè, e se ne vanno lasciando sedie scomposte, portandosi via il cavallo dei pantaloni e quella borsetta, grande il giusto per contenere il tubetto del lucidalabbra. Perchè l’iFono lo si tiene in mano.
L’uomo incrocia uno sguardo caritatevole con l’Oste, che glielo restituisce, grato.
Ascoltiamolo finalmente, chiedere una grappa molto secca.