E’ importante sapere l’età di uno chef? Sì, certo, com’era importante saperla quando un giovane Bob Dylan raccontava il mondo attraverso le sue canzoni, e quando una generazione dopo, un giovane Bruce Springsteen costruiva su quelle canzoni per raccontare la sua visione del mondo. La musica rock poteva fermarsi a Bob Dylan, sailcielo se c’erano abbastanza canzoni, per fortuna non è andata così. Stessa cosa per la cucina italiana. Poteva fermarsi a Gualtiero Marchesi, il grande vecchio degli chef, e alle sue millemila ricette, ma non è stato così. Contiamo sempre su nuovi cuochi per espandere il modo in cui guardiamo alla cucina.
Contiamo anche su Ernesto Iaccarino, 40 anni, che siamo tornati a trovare al Don Alfonso di Sant’Agata tra i Due Golfi, ristorante aperto nel 1973 da suo padre Alfonso.
Oh, Alfonso Iaccarino.
Classe 1947, infanzia nell’epica Pensione Iaccarino, fondata dal nonno nel 1890 insieme a un tedesco, Herr Brandmeier, passato per l’Italia e folgorato dalla Costiera. Degli 11 figli di quel nonno roboante, solo il papà di Alfonso, Ernesto anche lui, rimane nella pensione dove il giovane Alfonso muore dalla voglia di raccontare il mondo attraverso la cucina. Pulsione condivisa da Livia, la figlia dei vicini di casa, in compagnia della quale si introduce di notte nella cucina della pensione. Nonna Annunziata non vuole, è pericoloso con tutte quelle stufe a carbone. Quando Alfonso torna dalla scuola alberghiera di Stresa Livia lo sposa e non lo lascia più, insieme danno vita al Don Alfonso, locale entrato a pieno titolo nella mitologia moderna dei ristoranti.
Ma al ristorante-relais Don Alfonso 1890 succedono cose speciali anche oggi, piena primavera del 2011. Cosa, precisamente? Questo. Ogni generazione ha bisogno di capire da sola in cosa credere e perché, se parliamo di cibo. Quando per esempio, una generazione ha deciso che la cucina era soprattutto una schiavitù abbiamo avuto scatole, cibi pronti e cene frettolose davanti alla Tv. Più tardi, una generazione ha scoperto il cibo del mondo, passando in un fremito dalle tagliatelle della nonna al sushi. La generazione successiva sta ripudiando tutto, e guarda di traverso sia lo scatolame che il pesante tributo ambientale pagato per fabbricare e trasportare il cibo che mangiamo.
Cosa che ci porta al Don Alfonso di oggi.
Trovarsi a Le Peracciole e venire investiti da un tir di sensi di colpa per aver vissuto in luoghi troppo brutti, troppo malsani, troppo distanti succede puntualmente. Sono giorni che sconsiglio di vederla a chiunque abbia un lavoro, un matrimonio, un qualunque equilibrio stabile che non voglia scardinare in cinque minuti. L’azienda agricola di Termini, sette ettari di coltivazioni biologiche a strapiombo sul mare di Capri, è la perfetta chiusura del cerchio per uno dei più grandi ristoranti degli ultimi trent’anni. Perché è il suo serbatoio. Da lì arrivano le olive per l’olio, le melanzane e i pomodori profumate di mare, i limoni da guardare con incantata soggezione per quanto sono belli, grossi e squisiti, i pompelmi e gli altri agrumi, i fichi, le erbe aromatiche, il latte del vitello Sabatino, un po’ la star della tenuta, le uova e la carne delle lepri.
Oggi Ernesto Iaccarino al Don Alfonso cucina la natura.
Il suo stile è mediterraneo ma in un modo molto post-moderno, e con questo voglio dire che incorpora sia elementi di cucina moderna che la lezione di papà Alfonso mescolandoli in ogni modo possibile, spesso con risultati brillanti. Una specie di manifesto del ristorante come i nudi di ricotta, un opulento piatto di pasta, oggi sono serviti con un’infusione di verbena. Lo strepitoso capretto lucano è speziato dalle erbe fresche provenienti da Le Peracciole e da un fagottino di zucchine alla scapece. Mentre il Concerto di limoni, un dolce che esibisce ormai un repertorio di citazioni, resta quello che era, del tutto immune al cambio generazionale.
Non si può far conversazione sul Don Alfonso senza citare la cantina che va oltre la vostra più sfrenata immaginazione e il servizio ineccepibile orchestrato da Mario Iaccarino, fratello di Ernesto, o le poche curatissime camere.
Mangiare costa 130 o 150 euro a seconda del menù degustazione preferito, altrimenti si sceglie dalla carta. Dormire costa 210 euro per la camera 490, per la suite. Troppo caro? Il piccolo particolare è che il Don Alfonso non vende un pranzo o una stanza. Vende sogni.
[Crediti | Link: Don Alfonso. Tutte le immagini sono di Massimo Bernardi, scattate con un iPhone 3g ed elaborate con Camera+, tranne la foto di Alfonso Iaccarino che è di Elisa Ceccuzzi]