Dopo l’uscità quasi contemporanea delle due principali guide italiane ai ristoranti, Espresso e Gambero Rosso 2011, e la conseguente ubriacatura di dati (mettiamoci anche l’inevitabile codazzo di polemiche pro e contro, ma son sicuro che la rossa Michelin metterà tutti d’accordo) son voluto tornare indietro nel tempo per confrontare i risultati di oggi con quelli di 20 anni fa (la cosa non è estranea al bel post dei Fooders sul 1985).
Così, sfidando la polvere dello scaffale, ho ripescato le Guide Gambero/Espresso edizione 1991. Guardate un po’ cosa ho scoperto.
Il Gambero Rosso 1991 | All’epoca, la Guida del Gambero Rosso era diretta da Stefano Bonilli con Daniele Cernilli e Francesco Arrigoni. Tra i collaboratori figurava già il notaio Giancarlo Perrotta, che sarebbe diventato il curatore della nuova edizione insieme a Clara Barra.
Tra le superstelle del ’91 son rimasti solo l’Enoteca Pinchiorri, pur in calo, mentre Don Alfonso e Del Pescatore salgono. Gualtiero Marchesi è sparito, il Sorriso è a quota 84 in decadenza senile, l’Ambasciata a 89 ma i rumours sulla longevità del ristorante non promettono niente di buono. La Frasca, nel frattempo trasferita a Milano Marittima, è a 83, il Gambero Rosso di Fulvio Pierangelini è stato prima chiuso poi riaperto dalla moglie (si attendono valutazioni). La Locanda dell’Angelo dell’indimenticabile Paracucchi è nelle mani del figlio e sta a 82. Il Trigabolo di Argenta, Ferrara, è chiuso dal 1995, l’eredità è stata raccolta da Igles Corelli, chef a Pescia del ristorante Atman di prossima apertura, e Bruno Barbieri, ex chef dell’Arquade di Pedemonte.
L’Espresso 1991. Il direttore era Giorgio Lindo ma il supervisor portava ancora il nome di Federico Umberto d’Amato, una delle più famose barbe finte italiane, esperto gastronomo. Tra gli autori troviamo un già rodato Luigi Cremona, e c’è anche Enzo Vizzari, il futuro direttore.
In questo caso il raffronto è più complicato: vent’anni fa sopra i 19/20esimi venivano assegnati quattro cappelli, da 17 a 19/20esimi tre cappelli e, diciamo così, regnava l’abbondanza.
Oggi l’Antica Osteria del Ponte del grande chef lombardo Enzo Santin staziona sui 15, pressappoco come Marchesi (15,5), restano ottimi ristoranti solo un po’ ingrigiti (però che prezzi!) Anche il San Domenico di Imola si trova in situazione simile, epperò mantiene un pregevole 17. L’Enoteca Pinchiorri scende quest’anno a 18, pero son 20 anni che è tra i migliori, Vissani idem. Qualcuno si ricorda del Relais Le Jardin dell’Hotel Lord Byron? Adesso è il classico ristorante da hotel 5 stelle ma ai tempi il suo chef, Antonio Sciullo era il “Papa” romano, l’equivalente odierno di Heinz Beck. Fa un po’ di tristezza saperlo nelle cucine de La Tacita di Roccantica (RI): un talento sprecato ? Anche per L’Espresso, il Trigabolo e il Gambero Rosso di San Vincezo (LI) erano ai vertici: due ex grandi locali.
Ancora Tre cappelli ma sendendo nel ginepraio di locali a 18,5/20esimi, troviamo ristoranti ormai spariti: Bersagliere di Goito, Rododendro di Boves e Vecchia Lanterna di Torino. Ancora attivi invece l’Osteria del Teatro di Piacenza (in fase di restyling), Sorriso di Soriso e Don Alfonso 1890 (oggi ambedue a 16,5), Locanda dell’Angelo (14,5), Sole di Ranco (16) e il longevo Dal Pescatore (18,5). Benchè spostati sopravvivono anche Guido (16,5) e la Frasca (15,5) trasferiti rispettivamente a Bra e a Milano Marittima, ma sempre appartenenti alle famiglie dell’epoca. La Scaletta, della bravissima chef Pina Bellini, è passato ad altri proprietari mentre lo chef Renato Sentuti del Papà Giovanni di Roma, ha lasciato il timone al figlio con risultati modesti (12).
Pessime notizie per quanto riguarda la pattuglia dei 18/20esimi. Se Aimo e Nadia di Milano rimane su alti livelli (17,5), il Symposium di Cartoceto (PU) e Da Romano di Viareggio (16,5), oltre a l’Ambasciata di Quistello, Dolada di Pieve d’Alpago (Belluno) e Desco di Verona (riposizionati su 16) sono in netto calo. Peggio ancora Alia di Castrovillari, Cosenza (15,5), Palma (15,5), Gener Neuv di Torino (14,5), Arche, ancora a Verona (14), mentre Bacco di Barletta, che si è spostato a Bari (15,5) è in calo anche lui.
Spariti dalla Guida Alberto Ciarla di Roma (il locale non è più suo e dello chef mancano notizie), Cà Peo di Leivi (chiuso?), Cavallo Bianco di Aosta (chiuso da anni, Paolo Vai ha riaperto un bistrot con voto 13), la Chiusa di Montefollonico (esiste, ma i fasti di un tempo sono solo un ricordo), la Grotta di Brisighella (chiuso, il proprietario Raccagni è in pensione), Locanda della Colonna a Tossignano (giuro, mai sentito!), Maschere di Iseo (lo chef Vittorio Fusari è oggi alla Dispensa di Adro con voto 14), Oca Bianca di Viareggio (in rilancio, spero mi dicono che è chiusa); Alberto di Messina, Silverio di Bologna e Emiliano di Stresa.
Da notare lo squilibrio tra nord/centro e sud sia per il Gambero Rosso – 7 a 3 nel ’91, 12 a 12 oggi che per l’Espresso – 29 a 14 nel ’91, 8 a 8 oggi – ma la cosa che stupisce è il numero di locali cui la Guida Espresso assegnava voti alti. Per qualche ristorante posso testimoniare personalmente che il 18 del 1991 non è minimamente paragonabile al 18 di oggi, vedi l’Oca Bianca di Franco Breschi di vent’anni fa rapportata al Duomo di Ciccio Sultano oggi.
Capitolo prezzi. Le sorprese ci sono. Se nel 1991 la spesa media per un ristorante triforchettato/tricappellato era di circa 115.000 lire nel 2010 si arriva a 125 euro, circa il doppio in 20 anni. Con differenze notevoli oggi come ieri: nel 1991 si spaziava dalle 45.000 lire della Grotta di Brisighella (RA) alle 140.000 dell’Enoteca Pinchiorri, oggi, dai 50 euro dell’Oasis di Vallesaccarda (AV) ai 200 de La Pergola, Le Calandre e Pinchiorri (sempre lui!)
La comparazione tra le guide del ’91 e del 2011 è anche un pretesto per parlare di come sono cambiati i ristoranti in questi 20 anni. Molto, poco? In meglio, in peggio? Vale quello che si dice del campionato di calcio, cioè che i ristoranti italiani, son diventati nel frattempo i migliori del mondo?