Avviso: il post che segue è un rant, ovvero una sfuriata poco articolata. Siete liberi di immaginarmi con gli occhi di fuori e i capelli ritti sul capo, novella Medusa, ma in realtà io mi arrabbio in modo poco intellegibile all’esterno – solo gli occhi mi diventano piccoli piccoli, a fessura. È lì che dovete cominciare a preoccuparvi.
In questo testo cercherete vanamente un filo complessivo, un succo del discorso, una raison d’être. L’ho scritto perché mi sono arrabbiata, e ho uno spazio dove scriverlo (risata malvagia).
Succede che un mesetto fa ho mangiato da Yuzu, ristorante giapponese a Milano (se aprite il sito, sappiate che partirà un sottofondo molesto di rumori della natura).
Prima di tutto: si mangia bene, okay? Se ci andate, provate il ceviche con gamberi e avocado.
Oppure non andateci.
Ci vado a cena con un’amica, senza secondi fini recensori. Qualche giorno dopo penso che, in realtà, meriterebbe una segnalazione – è un locale piuttosto piccolo e non l’ho mai visto nell’elenco dei migliori giapponesi a Milano, nel quale avrebbe pieno titolo per stare.
Solo che – pasticciona – non mi sono segnata i piatti mangiati. Cerco sul sito: niente menu.
Scrivo all’amica con cui ho cenato, che risponde: “Non mi ricordo niente nel dettaglio, tranne il fatto che il cibo era complessivamente appetitoso e tu avevi delle belle scarpe”. Io: “Grazie, mi sei stata davvero utile”. “Ma in compenso ti ho adulato gratuitamente. C’erano delle capesante, mi pare? E degli involtini di qualcosa…”
Bene, mi dico senza perdermi d’animo, passerò al ristorante, il menu sarà di certo (come la normativa prevede) esposto fuori.
Ci vado: niente menu esposto fuori. Entro, e spiego al responsabile di sala per sommi capi la situazione: ho mangiato da loro, vorrei segnalare il locale ma mi serve il menu. Me ne potrebbe lasciare una copia?
Dice che non può darmelo, ha poche copie. Capisco! E dico: “allora guardi, faccio due foto al menu”. Lui si acciglia, e dice: “Non credo”. Io sbalordisco: “Eh? Mi servono semplicemente i nomi dei piatti.” Lui: “Allora venga qui a mangiare.” Io: “Guardi, ci sono già stata. Mi servono solo i nomi dei piatti. Me li può mandare va email?” Lui, visibilmente seccato: “Forse.” Io – che sto cominciando a stizzirmi: “Sa che non capisco il problema? Tra l’altro per legge il menu deve essere esposto.” Lui: “allora chiami i carabinieri.”
A quel punto considero brevemente l’ipotesi di impugnare il coltello del sushi chef e utilizzarlo per incidere una “D” di Dissapore sulla camicia del mio interlocutore, in stile Zorro, ma recupero la calma, taccio ed esco. Furente.
Posso garantire che la conversazione è andata esattamente come l’ho descritta, e che mi sono comportata in modo composto ed educato.
Inoltre, conosco le difficoltà di gestione di un ristorante da vicino e sono in genere più tollerante della media rispetto a eventuali pasticci: se aspetto 45 minuti in piedi rispetto all’ora di prenotazione, al cameriere che si profonde in scuse ribadisco garrula “Nessun problema! La rotazione dei tavoli non è una scienza esatta” e una volta mi sono rifiutata di segnalare alla cameriera che una delle fette del pane portato in tavola aveva il chiaro segno di un morso.
Insomma: perdono facilmente goffaggine, ritardi, imprecisioni, anche un piatto sbagliato: so bene che gestire un ristorante è vari ordini di grandezza più complicato di qualunque lavoro io abbia mai fatto.
Ma la pura e semplice scortesia (occhi a fessura): ah questo no.
[Crediti | Link: Yuzu, immagine: Shutterstock]