Conoscete il Soave? Ah, cosa dite? È tra le prime denominazioni di vino bianco per produzione, esporta quantitativi importanti, ha 10 mila ettari impiantati quasi senza interruzione e più di 130 cantine utilizzatori della doc di riferimento.
Bene, non è per forza di cose un elemento positivo. Anzi, spesso ha squalificato una tipologia dalle belle potenzialità e dalla spiccata aderenza territoriale. Si è preferito per lungo tempo non valorizzare il suo vitigno principale (la Garganega) e innaffiarla dell’immancabile Trebbiano toscano, in modo da ottenere vinelli da combattimento economici, anonimi e velleitari.
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L’abitudine permane ancora oggi e nella GDO (italiana ed estera) campeggiano troppi combustibili irricevibili, ma almeno dal 2002 il disciplinare – non senza qualche dadaismo legislativo violentemente italiano, che vi risparmierei – ha migliorato le cose. Garganega almeno al 70%, via il Trebbiano toscano e daje di Trebbiano di Soave (aka Verdicchio).
Sono emersi una serie di produttori che rispettano le caratteristiche e aprono nuove strade. Insomma, dalla svogliata etichetta di vino semplice e piacevole a bianco longevo e complesso.
Quindi vi richiedo: conoscete il Soave? Bene, allora aiutatemi a rendere più ricca questa lista. Cercasi chicche disperatamente.
Ca’ Rugate.
In prima fila nel rilancio della denominazione, l’azienda di Michele Tessari coniuga quantità (50 ettari e quasi 500.000 bottiglie dalla reperibilità assoluta) e qualità, con un paio di etichette capaci di esprimere al meglio le caratteristiche del territorio. Il Soave Classico Monte Fiorentine è una bella dimostrazione della vivacità e della sapidità di questo vino. Prodotto costante di alto livello; se trovate ancora le annate 2010 e 2011 sono davvero un gran bel bere.
Filippi.
Il manifesto del nuovo Soave intenso, vibrante e minerale: il più “naturalista del lotto”. Tre tipologie con affinamento in acciaio e nessun intervento in cantina, con Il Castelcerino a spiccare per rapporto qualità/prezzo (sugli 8 euro), certificazione biologica ma soprattutto tanta sostanza, precisione e longevità. Ho avuto modo di assaggiare il Vigne della Brà 2004 e il 2006 e credo siano tra i migliori Soave mai provati dal sottoscritto.
Tenuta Sant’Antonio.
Quattro fratelli che da metà anni Novanta raccontano il vino a Colognola ai Colli (Verona). Negli ultimi tempi hanno deciso di investire tutto nella linea Tèlos: un Amarone, un Valpolicella e ovviamente un Soave, tutti senza solfiti aggiunti. L’annata 2013 provata in anteprima promette ottime cose.
Pieropan.
Il più premiato, ricercato e amato all’estero dei Soave. Leonildo Pieropan ha le idee chiarissime sul suo vino: studio, passione e gestione meticolosa del lavoro in vigna. Ne esce un vino dalla grande pulizia ed eleganza. Il Soave Classico Calvarino 2005 (che non ho mai avuto la fortuna di provare) si dice essere il capolavoro assoluto della tipologia.
I Stefanini.
Uve Garganega in purezza e affinamento in solo acciaio per una delle migliori “nuove leve” in circolazione. Il Monte de Toni 2012 è un bianco eccellente che rispecchia i nuovi gusti: fresco, affilato, con un frutto mai invasivo e dalla grande personalità.
Prà Graziano.
Assieme a Ca’ Rugate e Pieropan, tra gli artefici del rilancio del Soave. La posizione lungo le colline di Montegrande e Monte Croce è uno dei punti di forza di uno dei vini più minerali, impegnativi e persistenti della tipologia. L’annata indimenticabile per il Soave Classico Straforte è sicuramente la 2010.
Corte Adami.
Altra realtà significativa che produce vini schietti, quanto piacevoli. Più longevo il Vigna della Corte, beverino e agrumato il Soave 2012, dall’eccellente qualità/prezzo (sui 6 euro).
[immagini: Flickr/barnyz, Luigi Strano, Verona Tuttintorno, USAG Vicenza, Carmelo Raineri]