È simile al caramello, okay, ma il nome aggiunge un’attrattiva esotica in più alla meravigliosa nutella andina che è il dulce de leche, riconosciamolo. Noi lo abbiamo scoperto come gusto gelato, sdoganato dalla catena Lato G (lo avete fatto?). Prima di ciò, snobbavamo le sue confortanti qualità di merenda invernale, inclini come siamo –-indipendentemente dalla rettitudine del nostro palato-– a concederci lo strappo alla regola che è anche il satana delle tabelle nutrizionali: la nutella.
Invece, dichiariamo pure aperto il contest della merenda “golosa” – diremmo usando l’aggettivo più disgustoso del marketing. Il dulce de leche vince, è fuor di dubbio, in semplicità e qualità caserecce. Latte e zucchero bastano, e se si è ordinariamente dotati di pentole (a pressione e non) lo si può preparare anche da soli. Ovvio, serve pazienza. Azzeccare il punto di cottura giusto, un minuto dopo il sembiante zuppa di fagioli e un minuto prima della desertificazione, è impresa ardua.
Ma la disoccupazione infuria, pomeriggi liberi, ahinoi, ne abbiamo di sicuro.
Non si sa dove e come sia nato, ma quasi sicuramente è stato uno sbaglio, come succede spesso per le cose buone. Che fosse un legionario dell’esercito napoleonico o la domestica di un alto dignitario sudamericano, fatto sta che qualcuno lasciò il latte sul fuoco per troppo tempo. Al di là della paternità, oggi il dulce de leche è un po’ il dolce simbolo in Argentina, Uruguay, Paraguay e Brasile (qui lo chiamano doce de de leite). In Messico c’è la salsa cajeta che lo ricorda, in Perù il manjarblanco, in Colombia l’arequipe. La Francia se n’è appropriata inventandosi la confitura de lait, che in terra di haute cuisine accompagnano al fromage blanc.
Ma dicevamo della disoccupazione. Ecco come scacciarne i demoni.
Dulce n°1. La versione pentola a pressione è il frankenstainiano punto d’incontro fra un esperimento nel laboratorio del liceo e un vera produzione domestica di qualcosa davvero insolito e serio.
Si parte, però, con l’aiutino: cioè un barattolo di latte condensato già pronto, da inserire, previa rimozione della sola etichetta, nella pentola a pressione e coprire con acqua. Attendete mezz’ora dopo il fischio e il dulce de leche sarà pronto a sfidare ogni altra crema spalmabile abbiate in dispensa.
Dulce n°2. Per la serie “le cose se si fanno si fanno bene”. I perfettini della merenda casalinga hanno a disposizione anche un metodo più viscerale, più primitivo, in cui si parte veramente da latte e zucchero, cui si aggiunge la caparbia autocostrizione a un pomeriggio in cucina. Fate bollire un litro di latte e 300 grammi di zucchero in una pentola e cuocete a fuoco medio mescolando, per un paio d’ore, fino ad avere un crema bruna e tostata, dall’odore inconfondibile delle toffee. Potete aggiungere, a vostro piacere, una bacca di vaniglia mentre il latte è sul fuoco.
Come mettere a frutto le qualità del vostro dulce de leche appena fatto.
Ora che l’avete preparato, sacrificando serie televisive e telefonate con le amiche, dovete decidere cosa farne: il dulce de leche è una grazia di Dio se accompagna torte, biscotti, gelato alla crema o alla vaniglia e muffin. Oppure, per dare l’ennesimo scacco matto alle solite creme spalmabili, provatelo semplicemente, su una fetta di pane abbrustolito. O ancora, all’americana: un mezzo cucchiaino per rendere goloso – sic – anche il più mediocre dei caffè.