Quando si fanno delle scoperte in cucina, ci vorrebbe un fotoreporter pronto a immortalare l’espressione a metà tra “sono un genio” e “che culo”, che affiora sul volto del provetto cuoco.
Generalizzo, certo.
Stavo parlando del mio volto, quando in bilico tra un brasato e uno stracotto ho per la prima volta messo in pratica inconsapevolmente la reazione di Maillard, seguita da lenta cottura a bassa temperatura. Risultato: carne morbida e succulenta, perfetta, così come non era mai stata.
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Secondo me anche il conte di Rumford c’aveva la stessa faccia quando fece la sua grande scoperta. A parte ringraziarlo a vita per l’invenzione del caminetto di moderna concezione,
lo si deve amare per i suoi esperimenti sulle basse temperature.
Americano di nascita, emigrato a Londra allo scoppio della rivoluzione americana. Benjamin Thompson, detto appunto conte di Rumford, per validare la sua tesi sulla giusta temperatura a cui sottoporre le carni, una sera provò a cuocere un cosciotto di montone a 80° per tre ore. L’esperimento non riuscì e lui andò a letto sconsolato. Il mattino seguente scoprì di essersi dimenticato il cosciotto in forno, ma la sorpresa più grande la ebbe nel constatare che la carne era perfettamente cotta e succulenta.
Non contento della fortuita scoperta, volle ripetere l’esperimento in modo scientifico.
Prese due cosciotti dallo stesso agnello, li rese uguali di peso e li sottopose a cotture differenti: il primo infilzato in uno spiedo davanti al fuoco, il secondo cotto nel forno a bassa temperatura. Invitò degli amici a cena, senza svelare l’esperimento. Al momento di servire il conte di Rumford, non solo costatò che il cosciotto d’agnello cotto a bassa temperatura aveva perso meno peso di quello cotto allo spiedo, ma anche i commensali espressero tutti la loro preferenza per quello più gustoso e succulento sottoposto a lunga cottura.
Replicò poi con il roast beef che lui amava molto. Suggerì di cuocerlo a 70°C per 4 ore. Il risultato era una carne tenera, rosea e gustosa e in più permetteva di servire agli ospiti dei ristoranti il roast beef sempre caldo, perché poteva essere tolto dal forno per tagliarne qualche fetta e poi rimesso nel forno sempre alla temperatura di 70°C senza che la carne ne risentisse in alcun modo.
Rumford aveva intuito quello che oggi sappiamo, che la cottura dolce esaltava la bontà dell’ingrediente, cioè non gli faceva perdere i saporiti succhi, e che i tempi lunghi contribuivano a sciogliere i tessuti connettivi, quelli che rendono dura la carne.
Voi avete mai provato a fare esperimenti alla Rumford? E scoprire che davvero alcuni alimenti, non tutti s’intende, sono più buoni se cotti lentamente? Carne tenera e delicata anche dei tagli meno pregiati, pesci e baccalà sublimi, zuppe e legumi perfetti, pomodori e uova della consistenza nuova e inaspettata.
Gli appassionati di cucina finto giovani come me, quelli dall’animo vintage nati tra la fine degli anni ’70 e inizio ‘80, sognano e tirano la sfoglia grazie alla cucina delle nonne, vivono per riscattarsi dalle mamme utilizzatrici sataniche di panna nei tortellini e nel filetto al pepe verde, vodka nelle pennette rigate, margarina in un sprazzo di ingannevole salutismo, ci hanno provato lo so, a cucinare lento, a capire cosa succede ad un pezzo di carne a una determinata temperatura.
Io sì, tanto che alla fine ne ho scritto un libro e ho sperimentato portandomi dietro tutto, dalla nonna in avanti, le prime letture di libri di cucina vecchi e nuovi, i quaderni unti, i blog ovviamente, o ancora le letture digitali incantate del blog di Bressanini, fino ad arrivate all’assaggio nei ristoranti di alcuni grandi chef che cuociono lento e bene. E perché in fondo non ci ho mai creduto allo Sfornatutto che cucina tutto lui e si pulisce da solo, anche se quello spot tv impazzava nella mia adolescenza pane e pomodoro.
Non ho mai pensato che in cucina il tempo fosse un dettaglio, forse perché sono stata sottoposta più volte da bambina alla preparazione coatta della passata di pomodoro, o alla chiusura forzata dei cappelletti di Natale. Sono Slow nella vita, sono pur sempre una umbra a Milano, non lenta ma calma sì.
Così con la calma in cucina ho imparato a fare i conti, con i tempi lunghi, con le cotture lente, con la fiamma dolce e il sapore arricchito dalla consapevolezza di quello che si sta cucinando, dall’attesa che carica i sapori e i profumi. Come se quel tempo fosse anche lui un ingrediente che rende tutto più buono.
Messaggio auto-promozionale
Per dirvi che ho scritto un libro, si chiama “Slow Cooking per tutti” edito da Ponte alle Grazie, nella collana curata da Allan Bay “Il lettore Goloso”. Lo metto qui in fondo nel suo angolino perché è solo una parte della mia storia in cucina, perché fare lo spot di sé stessi è un esperimento difficile e contorto.
Dentro ci sono tutte le mie sperimentazioni e scoperte casuali, che ovviamente scoperte non sono: dalla marinatura, chevice compreso, all’affumicatura, la cenere, i recipienti di terracotta e di ghisa, la tajine, al confit antico e quello con termometro, l’imprescindibile sottovuoto e roner, la pentola slow cooker, la cottura a vapore o a bassa temperatura in forno.
Avremo modo di parlare ancora di Slow Cooking e di tecniche, strumenti, consigli per ottenere ottimi piatti cotti lentamente, presto su Spigoloso.
Ditemi intanto, avete già scoperto che la lenta cottura è una cosa meravigliosa? E con quali ricette vi siete cimentati?
[Crediti | Link: Le SCienza, Google Libri, immagini: Panebisteccacom]