Impressioni di settembre: guide spesso. Non importa neanche se volentieri, la prolungata penuria di risultati provoca crisi di astinenza. Poi qualcosa inizia a lavorarti dentro come una gigantesca vitamina o un sonnifero buono o un cardiotonico meno invasivo. E’ la guida Milano 2013 del Gambero Rosso, presentata ieri, la prima del circo che termina a metà novembre con l’arrivo della Rossa predominante, la guida Michelin.
Ieri dunque, bisognava sbrigliare una maleodorante matassa, Milano, città che la stravagante coerenza dei giudici del Gambero Rosso ha relegato al ruolo di cheerleader, poco protagonista dentro la sua partita.
Notava ieri un attento lettore: il miglior ristorante di Milano si trova in Piemonte. I primi 5 migliori ristoranti di Milano non sono a Milano. Nella classifica dei migliori 15 ristoranti di Milano ci sono solo due ristoranti di Milano.
Il numero uno, Villa Crespi, in un palazzo curiosamente arabeggiante adorno di fallico minareto e chef gagliardo (Antonino Cannavacciuolo da Vico Equense, Napoli), si trova in effetti a Orta San Giulio, bel borgo lacustre che una stringente abitudine geografica colloca in provincia di Novara.
Né la suddetta Villa Crespi, oppure Dal Pescatore della famiglia Santini (Canneto sull’Oglio, Mantova), o ancora Da Vittorio dei Cerea (Brusaporto, Bergamo), per non parlare del Miramonti l’Altro (Concesio, Brescia) o dell’Ambasciata (Quistello, Mantova), cioè i 5 migliori ristoranti della guida, si trovano di fatto a Milano. Il primo è Cracco, sempre lui, mentre l’unico altro locale milanese nei primi 15, è il vegetariano Joya di Pietro Leeman.
Tra facili cliché e amare verità, tra sushi e happy hour facciamo spesso facile ironia su Milano, ma più che un omaggio, questa guida sembra una dichiarazione d’odio.
Dalla Milano da bere si può guarire, per referenze rivolgersi ai solidi Sadler, Trussardi, Aimo e Nadia, alle sempre affidabili trattorie, mentre tra i reggenti si accomodano forze nuove: orto-bistrot, nippo-fusion e radical-chic.
Tutto quel che volete ma smettiamo di trattare Milano come una cognata comprimaria. Almeno in una guida che si chiama Milano.
[Crediti | Link: Dissapore, immagine: Bob Noto]