Nel weekend del Salone del Mobile 2013 e del Fuorisalone, abbiamo mandato un lettore all’evento organizzato da Lavazza con gli chef Davide Oldani, Antonino Cannavacciuolo e Massimo Bottura. Ecco il suo racconto.
Quando ero bimbo percorrevo Via Savona in bicicletta, lo stradone in cui le fabbriche abbandonate regnavano sul grigiore, e ricordo che quando mi distraevo finivo dentro a buche grosse come crateri. Le fabbriche sono diventati spazi di ritrovo molto in, il Fuorisalone del mobile, la sola cosa rimasta sono i crateri per strada.
E’ difficile condensare una serata in questo spazio con tre cuochi famosi, una scrittrice / giornalista (Camilla Baresani) e un “coffe designer” (spero che Marcello Arcangeli non si alteri se lo definisco così).
Di Massimo Bottura mi ha colpito il modo di fare, credo avrebbe potuto essere un pittore, non a un caso è un collezionista di quadri che espone (e spesso cambia come nei più seri vernissage) all’interno del suo ristorante.
Parla dei sapori con un tocco di pennello, per esempio, la sua descrizione dei capperi siculi salati unicamente dalla brezza marina mi ha fatto pensare a un funambolo che esplora con un dito il confine tra dolce e salato.
Mandorle amare, limoni di sorrento, caffè… ama esplorare.
Da Bottura ho imparato che a parte il già conosciuto profumo di “bosco”, esiste il gusto di “bosco” ricreato nel suo piatto, la tavolozza di un pittore.
Dei tre chef Davide Oldani era l’unico a non indossare le sneaker, particolari che mi intrigano sempre, le scarpe sono una cosa che osservo.
Per un attimo, quando l’ho visto sparire dalla sedia dell’interessante discussione, ho pensato che fosse il classico fighetto con troppe cose da fare.
Invece mi ha fatto capire che anche lo chef più affermato si preoccupa per il suo piatto, lo vuole perfetto. Nella sola foto decente che ho scattato sta riempendo di cioccolato (“altrimenti si scioglie” in venti metri di tragitto riesce a cogliere il cambiamento del gusto del cioccolato, idolo!) la tazzina e il cucchiaino da caffè ideata insieme a Lavazza.
Oldani ha fortemente voluto un ristorante alla portata di tutti, e nel raccontarlo mi è piaciuto molto, anche con quelle scarpe.
Antonino Cannavacciulo lo avevo proprio di fronte, ogni tanto ammiccava, perfettamente a suo agio tra il pubblico e insieme agli altri chef. Inflessione partenopea, tipo pratico, il suo tonno vitellato è un lungo tragitto sensoriale che parte dalla costiera amalfitana per arrivare a Torino e virare a velocità warp verso Tokyo.
Sta per andare in Tv con Cucine da Incubo (versione italiana di Hell’s Kitchen con Gordon Ramsay), ha raccontato che non è solo un copione, ci sono veri ristoranti da salvare, e sebbene mettersi in cucina per insegnare non sia mai facile, quando le cose vanno meglio la soddisfazione è tanta.
Mi è molto piaciuto il racconto sul profumo del caffè, uno tra i preferiti dallo chef, e il ricordo del caffè “sospeso” (quando un napoletano è felice per qualche ragione, invece di pagare un solo caffè, quello che berrebbe lui, ne paga due, uno per sé e uno per il cliente che viene dopo).
Forse per la crisi, o perché l’Italia è una Repubblica fondata sulla tazzina, l’usanza napoletana mi è rimasta in mente, come questa serata conclusa dal caviale al caffè. Grazie Lavazza, grazie, Dissapore.