Tutto inizia con il boss di Dissapore che mi segnala l’apertura di un nuovo ristorante a Roma, si chiama Banco. Capirai, penso io, a Roma apre un nuovo locale tutti i giorni. Ma bastano pochi secondi sul sito e quell’ossimoro sparato in homepage —naturalmente fast food— per incuriosirmi. Scusate, in che senso “naturalmente fast food”?
Pietro ha 26 anni è alto, biondo, con gli occhi azzurri e cucina come un dio. No, non è il preavviso del mio nuovo flirt, purtroppo. Sì, sono venuta a Roma, e adesso voglio scoprire tutto di Banco.
Pietro dicevamo: prima c’è stata l’Accademia Cordon Bleu a Parigi, poi la gavetta da una serie di chef, piuttosto impressionante, di stanza a Milano: Aimo Moroni (Il Luogo di Aimo e Nadia) Pietro Leemann (Joia), Andrea Aprea (VUN, Hotel Park Hyatt).
Poteva mancare l’esperienza nel distaccamento oltreoceano del buono pulito e giusto? No, infatti Pietro è stato pure a Berkeley, San Francisco, allo Chez Panisse della liberal Alice Waters, molto radical chic.
Provo a interpretare il vostro pensiero: perché con un cursus honorum simile Pietro apre un fast food a Testaccio dove il menu degustazione più caro composto da 2 portate più un centrifugato costa 13 euro? Come risposta potrebbe bastare la fila che si forma all’ora di cena fuori dal locale aperto da una settimana. Poi dice che noi millennial non abbiamo il bernoccolo per gli affari.
A proposito, soci di Pietro che intanto affetta asparagi novelli dietro al bancone con un sorriso da colpo di fulmine, sono il fratello maggiore Paolo Platania (grafica e marketing) e Richard Thomas Ercolani, che con quel nome assicura al locale un tocco internazionale.
Come un ristorante stellato Banco permettere di scegliere alla carta oppure di seguire il menu degustazione affisso su un tabellone luminoso sopra la testa della brigata, della cassa e dei commensali.
Ligia ai precetti della dieta di stagione ordino un light menu, protagonista l’insalata più bella che abbia mai visto. “Homemade tunny”, questo il nome (preferita all’ultimo momento alla Goat Cheese Salad fotografata in alto) è un misto di erbette a me per lo più ignote, germogli, fiorellini, fettine di rapanello marinato, fagiolini, cubetti di patata bollita, tonno sott’olio fatto in casa e una crema di pomodori secchi, olive, capperi e scorza di limone.
Il mio accompagnatore (che si dà il caso sia anche l’uomo a cui sono sposata e che scoprirà solo ora il mio incapricciamento per Pietro) ha ordinato un Mononoke Roll: piadina di farro, salmone affumicato, riso originario, avocado, alga nori, cetriolo marinato allo zenzero, insalata e vinaigrette orientale.
A entrambi i menu era abbinata la zuppa del giorno, una crema di porri e patate completa di piselli novelli appena scottati, riduzione di latte di mandorla alla curcuma e un piccolo turbante di germogli.
Da bere un centrifugato di agrumi, zenzero e qualcos’altro di buonissimo di cui ho perso contezza, obnubilata dalla bellezza che avevo intorno.
Capitolo dolce, che ha pure il vezzo di essere senza glutine. Plum cake ai frutti secchi con ripieno ai frutti di bosco, friabile e dal buon sapore rustico.
Altre varie ed eventuali di Banco: deliziosi panini (bun) di Stefano Preli del Forno Prelibato, panificio con cucina in zona Monteverde, poca carne, a parte il pollo che piace ai gourmet dell’azienda San Bartolomeo di Vetralla. Poi tonnetto nostrano (FAO 37) messo sott’olio in casa e salmone affumicato. Olio bio, patate bio del viterbese, zucchero di canna grezzo equo solidale.
Le patate fritte ci sono, ma corredate da salse vegan fatte in casa dallo chef. Ci sono pure le crocchette, a scelta tra verdure di stagione o baccalà, infine c’è il sundae, fatto con la ricotta di capra dell’azienda Monte Jugo di Viterbo e la frutta fresca.
Allora vi convince come Banco interpreta lo slogan “naturalmente fast food”? Chissà cosa ne pensate, e chissà cosa penserà di Pietro McDonald’s?
[foto crediti Dissapore | Rossella Neri, Banco Fast Food]